Le scene di giubilo - non tutte di buon gusto - in piazza del Quirinale in occasione della
crisi e delle dimissioni di Berlusconi, pur comprensibili, non sono durate più
di un week end. Se infatti la tempestiva decisione del presidente Napolitano di
nominare senatore a vita il professor Mario Monti e di affidargli l’incarico di
formare un governo per fronteggiare il drammatico indebitamento dell’Italia, ha
spazzato via l’inerzia irresponsabile del precedente governo, ciononostante “c’è
grande confusione sotto il cielo” e la situazione è tutt’altro che eccellente. Perdurano
varie incognite. Basterà il consenso assicurato dai leader di alcuni partiti? Visto
che tutti parlano di risanamento delle finanze statali, di riforma del fisco e della
giustizia, di sacrifici “lacrime e sangue” ma raramente dicono che cosa concretamente
vogliono fare, non sarebbe ragionevole e doveroso esplicitare, nella fase delle
consultazioni, 3-4 obbiettivi prioritari del nuovo governo? E sapere se farà
anche la riforma elettorale e se l’intenzione è di arrivare a fine legislatura
o d andare alle urne al più presto? Ed è verosimile che un governo concentrato
su misure di forte impatto economico e sociale si consideri “tecnico” e
non “politico” solo perché i suoi membri
non appartengono alla “casta” attualmente in servizio? È probabile che
precisazioni su questi temi vengano nei prossimi giorni dal capo del governo,
la cui serietà è riconosciuta a livello internazionale. Per il momento possiamo
individuare due punti fermi, alla luce dei quali valutare le sue future scelte.
Il primo riguarda il nesso stretto,
di simultaneità, che deve esserci tra i sacrifici ed il rilancio dell’economia.
Se le risorse limitate dai tagli non verranno investite per creare occupazione
in settori strategici (le energie pulite, l’ambiente, la sicurezza abitativa,
la ricerca, l’istruzione, la sanità, le infrastrutture di base), l’effetto immediato
sarà la contrazione dei consumi e la recessione, cioè più povertà e
disperazione fra i giovani e gli altri settori “deboli” della forza lavoro.
Il secondo punto fermo riguarda i sacrifici ed ha vari
nomi: equità, giustizia sociale, per alcuni anche misericordia. La Costituzione
la chiama solidarietà sociale. Occorre partire da una premessa: per effetto
della globalizzazione neoliberista dell’economia – e, in Italia, dell’intreccio
tra politica , economia, criminalità – negli ultimi trent’anni sono enormemente
cresciute le disuguaglianze. Si è calcolato che se negli anni settanta il rapporto
tra il salario minimo operaio e quello massimo di un manager era di 1 a 40,
oggi esso è di 1 a 400. A ciò si aggiunga che i ceti ricchi hanno perfezionato,
complici molti politici, sistemi di arricchimento legale (elusione fiscale,
condoni, depenalizzazioni) e illegale (evasione, fuga nei paradisi fiscali,
corruzione, ecc…). Di conseguenza qualsiasi provvedimento “lacrime e sangue” (si
tratti di Ici o di patrimoniale o di prelievo) per essere davvero “equo” non
può gravare nella stessa misura sul misero e sul miliardario. Il povero non
deve fare alcun sacrificio, mentre chi sta meglio o bene deve contribuire in
proporzione progressivamente crescente al proprio reddito o patrimonio. Analogamente
la riforma delle pensioni per essere equa deve partire dal taglio delle “pensioni
d’oro”, pubbliche e private, e dall’abolizione del vitalizio dei parlamentari. Se
non vi sarà questa equità (o misericordia, vedi Matteo 25, 34-46), allora sarà
anche da noi iniquità e immiserimento di masse crescenti di popolazione, come
quello che grandi istituzioni bancarie mondiali con le loro ricette
neoliberiste hanno già ampiamente provocato in vaste aree del mondo. Di questo
il senatore Monti (membro della Commissione Trilaterale fondata da Rockefeller
e tuttora consulente di quella Goldman Sachs che, secondo i dati diffusi da
Milano Finanza, avrebbe innescato l’ondata di vendite di Btp italiani, seguita
da altri “fonti tossici” americani) è buon conoscitore.
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