mercoledì 12 dicembre 2012

Il fondamento dei diritti dell'uomo


I diritti umani, la questione del fondamento.

Premessa.
Volendo andare alla ricerca del prima, che tra l’altro non può essere scisso dal poi, rispetto alla Dichiarazione del 1948 si potrebbe arrivare a una riflessione paradossale: gli antecedenti della Dichiarazione sono rinvenibili nell’inizio stesso della storia dell’uomo, nel senso che il concetto stesso di uomo si lega all’indispensabile sussistenza di un nucleo di diritti indefettibili, reso via via manifesto, individuabile direttamente nell’esperienza storica. In tale ottica la nozione stessa di diritti fondamentali è connaturata all’uomo, per cui si potrebbe parlare di “diritti connaturati”, superando le antiche accezioni di diritti naturali e di diritti innati.
La posizione classica.
Prima di affrontare gli elementi che storicamente possono aiutare a fondare la connaturalità dei diritti in questione, nel senso che fa parte dell’essenza stessa dell’uomo la presenza di un nucleo indefettibile di diritti che si concretizza in un’ampiezza contenutistica e una valenza giuridica in relazione alle diverse esperienze storiche, occorre affrontare la problematica riguardo al fondamento dei diritti dell’uomo. A tal proposito, diverse furono le teorie: riassumendo, si può far riferimento alla differenza tra la visione classica, di tipo giusnaturalistico, basata su un fondamento assoluto, metastorico, dei diritti umani secondo cui ogni persona possiede diritti fondamentali e inalienabili, naturali e anteriori alla società stessa; e una prospettiva moderna, in base alla quale i diritti essenziali dell’uomo sono di volta in volta variabili, soggetti al flusso del divenire e traggono origine dalla società con riferimento ai movimenti della storia. Ma vi sono altre teorie fondative: ad esempio, alcuni pongono tale fondamento in una sorta di simmetria che implica la reciprocità tra diritto e obbligo, da cui discenderebbe sotto il profilo più propriamente filosofico la stessa universalità dei diritti fondamentali. Norberto Bobbio, invece, pone il fondamento dei diritti nella storia e nel consenso della moltitudine di popoli, asserendo che un tale fondamento assoluto non è né possibile né desiderabile. Bobbio fa riferimento a tre modalità:
-          il dedurli da un dato obiettivo costante, come la natura umana;
-          il considerarli come verità per se stesse evidenti;
-          lo scoprire che in un dato periodo storico sono generalmente acconsentiti, come viene provato in particolare dal consenso.
È proprio su quest’ultimo elemento insiste Bobbio, il quale ha evidenziato che il fondamento storico del consenso è l’unico che possa essere fattualmente provato e che la Dichiarazione universale dei diritti umani può essere accolta come la più grande prova storica, che mai sia stata data, del consensus omnium gentium, circa un determinato sistema di valori.
I precedenti nella storia del pensiero giuridico.
Il mondo greco-romano
Per la comprensione della genesi e del successivo sviluppo storico dei diritti umani è utile alla nostra trattazione premettere un breve exursus storico che, per ovvie ragioni, deve sorvolare sulla mole di materiale giuridico accumulatosi nel corso dei secoli pur senza trascurare i momenti salienti di tale sterminata produzione.  Le più antiche testimonianze di embrioni di diritti umani risiedono nei poemi epici di Omero: l’Iliade e l’Odissea. Già in questo contesto primordiale emerge una timida distinzione tra la themis e la dike. La prima nozione indica una decisione ispirata dagli dei, un comportamento moralmente doveroso anche se non conveniente, rispondente ad una sorta di coscienza sociale collettiva; il secondo termine può significare una legge terrena. Anche la tragedia dell’Antigone scritta da Sofocle intorno alla metà del V sec. a.C. è fondata sul dilemma tra l’adempimento o meno ad una norma scritta che cozza contro i valori morali diffusi nella collettività. In quest’opera Sofocle fa riferimento a leggi non scritte, inalterabili, fissate dagli dei, eterne e di origine soprannaturale. Da ciò derivò il principio del tirannicidio, principio rinvenibile nel XVII secolo, a cui si appellarono i padri costituenti americani e francesi per legittimare le loro rivoluzioni.
Quanto all’epoca romana, si può fare riferimento a Cicerone e ai suoi trattati De legibus e De Republica. Quasi anticipando le tematiche del giusnaturalismo medievale, Cicerone si richiama ad una vera legge, la retta ragione conforme alla natura, diffusa tra tutti, costante ed terna a cui non è lecito apportare modifiche né togliere alcunché né annullarla in blocco e che governerà tutti i popoli in ogni tempo. In Cicerone sono rinvenibili degli istituti giuridici, seppur a livello embrionale, particolarmente significativi a proposito di una concezione universale di certi diritti fondamentali dell’uomo, dai quali si deduce la loro spettanza a prescindere dalla cittadinanza o dall’appartenenza a particolari etnie e caste; si tratterebbero di diritti legati all’uomo in quanto tale e non dedotti giuridicamente da un’autorità statuale. A questa concezione di tali diritti si riferisce l’insieme dei doveri che il diritto romano prevedeva anche  ei confronti del nemico, le norme giuridiche comuni ai romani e agli stranieri e che tutti dovevano rispettare. Inoltre vi era lo ius gentium, ossia regole di diritto generalmente riconosciute nelle legislazioni dei diversi stati. Da ultimo, il diritto romano qualificava come “crimine” l’uccisione di ostaggi, la promozione arbitraria della guerra e tutte le iniziative volte a trascinare in guerra uno stato.
Il medioevo
In quest’epoca è possibile rinvenire, a dispetto del pregiudizio che giudicatale periodo oscuro, tracce di tutele giuridiche in senso moderno. Infatti una prima garanzia dei diritti fondamentali venne attuata giuridicamente a livello di diritto privato, fenomeno dovuto proprio alla frammentazione politica localistica tipica dell’epoca. Lo scontro, a volte aspro e cruento, tra autorità locali e soggetti di diritto favorì la nascita e l’acquisizione di diritti essenziali con conseguente protezione da parte dell’autorità. Questi diritti erano: diritto alla vita e alla integrità fisica, il diritto a non essere percosso ed ucciso, il diritto a non essere preso senza una causa legale, il diritto di scegliere il domicilio, di allontanarsi dalla dimora abituale senza difficoltà, il diritto a formare una famiglia, il diritto a non essere privato illegalmente delle cose legittimamente possedute. Tali diritti in un primo momento furono rutto di accordi tra l’autorità e particolari soggetti privati e gruppi, poi furono estesi a livello generale. Questo passaggio dal diritto privato al diritto pubblico segnò una tappa fondamentale nel riconoscimento e nella tutela dei diritti dell’uomo , ponendo le basi per le moderne dichiarazioni. A questo proposito è il riferimento alla Magna Charta del 1225, con cui Enrico III si rivolgeva al clero, ai nobili e a tutti gli uomini liberi del Regno, anche se di fatto solo i diritti dei nobili e del clero venivano effettivamente tutelati. In ogni caso si trattò di una dichiarazione di principio secondo la quale nessun uomo libero poteva essere arrestato, spogliato dei beni e della libertà, esiliato, senza giusta causa; il re si impegnava a far rispettare tali diritti. Su questa base, sempre in Inghilterra si avrà, secoli dopo, il Bill of rights sulla difesa dei diritti del Parlamento con contestuale limitazione dei diritti del Re (1689). Su questa scia vennero sanciti ulteriori diritti: libertà nelle elezioni, libertà di parola e di discussione, libertà di procedura in Parlamento, diritto di petizione dei cittadini al Re; l’Inghilterra si pose nell’agone internazionale come patria dei diritti.
Le Dichiarazioni americana e francese
Nel 1789 si giunse al modello normativo più significativo: la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, approvata dall’Assemblea costituente francese. Con essa si ebbe una formulazione generale sui diritti che mai era stata raggiunta in precedenza, collocandosi così quale antesignana più diretta della Dichiarazione universale del 1948. Forti sono i legami della Dichiarazione francese con quella americana e ciò è significativo perché nel 1700 in due continenti diversi il costituzionalismo non ha potuto prescindere dalla centralità dei diritti dell’individuo, segno evidente di una maturazione ormai raggiunta nel pensiero umano. Nella Dichiarazione americana del 1776 vi sono tutta una serie di principi e diritti che sorprendono per la loro attualità: si richiamano i concetti di godimento della vita, di felicità, di sicurezza, di benessere in generale, del diritto di proprietà. Inserendo tali diritti direttamente nel testo costituzionale vi fu una precisa scelta di direzione della precettività, o in ogni caso della pregnanza giuridica, dei diritti enucleati.
Nuovi orientamenti.
Ritornando al cardine dell’interpretazione di Bobbio, indubbiamente il fatto del consenso ha un grande rilievo sotto il profilo sia politico sia giuridico. Ma sotto l’aspetto più propriamente filosofico il fondamento fattuale del consenso, di tipo evidentemente storico e come tale non assoluto, non esclude di per sé la riflessione intorno ad ulteriori fondamenti di ordine metastorico, potendosi ipotizzare una complementarietà tra fondamenti storico-fattuali e fondamenti assoluti, la ricerca dei quali però non deve comportare divisioni e incomprensioni di ordine teorico e con una ricaduta sotto il profilo giuridico. Né tanto meno può comportare un’attenuazione nella tensione verso una sempre maggiore efficacia nella difesa dei diritti enucleati. È noto che in linea astratta un fondamento giusnaturalistico ne teorizza una difesa assoluta, ritenendoli invalicabili. Invece, secondo un’impostazione giuspositivistica anche gli stessi diritti umani sono pur sempre di derivazione statuale e derivanti dalla autonoma volontà dello stato di autolimitarsi; per cui rimarrebbero pur sempre astrattamente disponibili; mentre sostanzialmente nella stessa logica si porrebbero le teorie contrattualistiche, che basano i diritti in questione sul “patto” fra le forze politiche e sociali definito con la Costituzione.
In realtà, occorre trascendere dai fondamenti rigidamente teorici e impegnarsi perché prosegua il processo di protezione giuridica. Infatti, in ambito costituzionale interno si è passati in modo pressoché diffuso, nelle carte fondamentali della seconda metà del ventesimo secolo, dalla tradizione francese, che riteneva sufficiente per la protezione dei diritti la separazione dei poteri, l’autonomia dell’ordine giudiziario e la partecipazione dei cittadini mediante l’elezione dei rappresentanti, a quella americana che privilegia un sistema costituzionale rigido, modificabile solo mediante procedure aggravate, volto a garantire i diritti dei cittadini dai rischi di un’eventuale  dispotismo della maggioranza parlamentare.  Ciò che più conta è il non arrestare il processo di universalizzazione dei diritti umani; un’universalizzazione complessa, da considerare sotto una molteplicità di aspetti: il consenso generalizzato, la dimensione planetaria dei destinatari, la tendenza contenutistica a ricomprendere tutti i diritti che possano essere ricondotti alla sfera essenziale della persona.
Al di là delle singole impostazioni teoretiche sul fondamento dei diritti umani, in realtà, l’universalizzazione di tali diritti rappresenta di per sé un “valore” e non può non rappresentarlo per tutti. Guardando agli ultimi secoli, infatti, si può constatare come l’universalismo dei diritti dell’uomo sia passato dalle opere dei filosofi, in particolare dal giusnaturalismo moderno, attraverso i primi riconoscimenti nei diritti positivi di singoli paesi (a cominciare dalle Dichiarazioni dei diritti degli stati americani e dalla Dichiarazione francese del 1789), fino all’attuale diritto positivo internazionale a tendenza universalistica, il cui punto di partenza è rappresentato proprio dalla Dichiarazione universale del 1948. In tal contesto possiamo azzardare che i tanto conclamati sviluppi della odierna globalizzazione siano stati anticipati da oltre mezzo secolo dalla Dichiarazione universale dei diritti umani.  Alla base, difatti, della Dichiarazione vi è il convincimento diffuso che per la promozione e la salvaguardia dei diritti umani l’azione individuale e autonoma dei singoli stati non possa ritenersi bastevole, sia per la limitatezza degli strumenti cui si ancorano le isolate sovranità nazionali, sia a causa della dimensione raggiunta dagli interessi umani, che si caratterizzano sempre più per la tendenza a trascendere gli ambiti delle singole statualità.
Ha ragione, quindi, chi ha sostenuto che la Dichiarazione universale del 1948 è solo l’inizio di un lungo processo di cui non siamo in grado di vedere ancora l’attuazione finale, ma ciò che la Dichiarazione contiene in germe, e che può rappresentare la meta giuridico-filosofica dei diritti umani, potrebbe essere la ricostruzione dell’unità del genere umano. Anzi, proprio l’indispensabile dimensione planetaria dei diritti umani, le cui garanzie possono essere riconosciuti, pone l’esigenza pratica di accantonare le contrapposizioni ideologiche derivanti dall’appartenenza a scuole filosofiche diverse in vista di un sommo bene comune, ossia nell’unificazione dei diritti umani, nella loro enumerazione e nella loro organizzazione concreta. Tale prassi richiede una trasformazione di queste culture morali preesistenti, che debbono essere capaci di parlare all’uomo del nostro tempo.
Piuttosto, la questione nevralgica di fondo sembra spostarsi dall’iniziale contrapposizione della doppia fonte, se quella indicata dai giusnaturalismi nella natura umana, oppure quella dei giuspositivisti nella sovranità autonoma degli stati, alla più attuale contrapposizione tra la vigenza costituzionale dei diritti degli umani, in quanto riconosciuti dagli stati nelle loro carte fondamentali, e il valore supercostituzionale degli stessi, ossia preesistenti alla costituzione e pertanto assoluti. In quest’ottica tali diritti hanno una validità assoluta, vanno riconosciuti nelle singole Costituzioni e, una volta diventati pubblici mediante tale riconoscimento, assumono anche una portata meta-costituzionale, nel senso che sarebbero sottratti ai procedimenti di revisione costituzionale. Si tratta di una speciale forma di protezione sostanziale, i cui tratti sono rinvenibili nella stessa giurisprudenza della Corte costituzionale italiana[1].
Il post-modernismo.
Vi è una recente impostazione, in chiave politica, volta a rilanciare i principi tradizionali del liberalismo nell’ottica della tutela dei diritti umani. Infatti, secondo questa teoria, le idee-guida di una società pluralista e di un’economia di mercato competitiva, l’etica dell’individualità e della responsabilità personale, il relativismo etico, il principio di tolleranza, le pari opportunità e in genere i cardini del liberalismo sarebbero particolarmente idonei nelle società della modernizzazione post-industriale e della mondializzazione per garantire i diritti universali dell’individuo. In questo contesto l’etica dei diritti finisce per connotarsi come una sorta di etica minima comune, che può consentire il libero dispiegarsi delle diversità morali. Di fatto si constata storicamente che i sistemi politici di tipo liberal-democratico occidentale sembrano aver dimostrato una maggior rispondenza alle esigenze della tutela dei diritti umani.
Conclusioni.
Concludiamo questa breve dissertazione sul fondamento dei diritti dell’uomo con un pensiero del filosofo del diritto Italo Mancini: “i diritti dell’uomo rappresentano il portento dell’età moderna come il diritto naturale lo è stato per l’età classica; un portento che ha contribuito a creare quella civiltà del diritto, in cui si deve porre il contributo fondamentale per il costituirsi della cultura e del sentire comune dell’Occidente”. Proprio il diritto internazionale ha mostrato che attualmente diritti naturali, diritti umani e diritti positivisticamente protetti tendono a coincidere, unificando di fatto le contrapposte teorie del giusnaturalismo e del positivismo giuridico venendo così a rendere superflua la problematica del fondamento di tali diritti.



[1] Sentenze del 29 dicembre 1988 n. 1146 e 23 luglio 1991 n. 366.