martedì 20 marzo 2012

Una teoria economica come base della salvezza

Una teoria economica come base della salvezza.[1]


Premessa.
La dottrina della giustificazione assunse una particolare importanza nella Riforma luterana. Il problema di quale fosse la condizione dell’uomo di fronte a Dio era molto sentito. Tale questione era stata già dibattuta nel corso del V secolo durante la controversia tra Agostino e Pelagio, nella nota “controversia pelagiana”. Ma certi aspetti di tale controversia erano stati ripresi e riproposti dai teologi del XIV e XV secolo attraverso le riflessioni delle due contrapposte scuole denominate via moderna e schola augustiniana moderna. La prima tendeva verso posizioni pelagiane, la seconda verso quelle agostiniane.
Ma qual’era il pensiero di Agostino sulla giustificazione dell’uomo? Per questo teologo del V secolo l’umanità è intrappolata nella propria miseria e non può in nessun modo redimersi da sé. Essa non è nella condizione nemmeno di entrare in relazione con Dio e nulla di quanto possa fare potrà mai essere sufficiente a farla uscire da questa miserevole condizione. Occorre, dunque, un intervento che sia esterno all’uomo stesso; occorre una trasformazione che provenga fuori dalla realtà umana. È qui che, secondo Agostino, interviene Dio. In questo intervento Dio è naturalmente libero, non essendo in alcun modo determinato da fattori esterni; è solo per amore per l’umanità perduta. Questo amore si concretizza nella persona di Gesù che diviene uomo per redimere l’uomo. Questo atto è la “grazia”. Agostino tributa tanta importanza alla sola grazia che viene definito il doctor gratiae. La “grazia” è il dono di Dio, un dono non meritato, mediante il quale Dio distrugge il potere del peccato sull’umanità. La redenzione, così, è solo dono di Dio. Non è qualcosa, è bene ribadirlo, che possiamo fare da noi stessi bensì un atto compiuto da altro da noi (Dio stesso). La salvezza è un processo che si trova fuori dall’umanità e che Dio inizia; nessuna opera umana può darle l’avvio.
Pelagio, al contrario, insegnava che la possibilità di salvezza risiedeva nell’umanità stessa: i singoli individui hanno la capacità di salvare se stessi.  Essi non sono chiusi nel peccato ma hanno il potere di fare tutto ciò che è necessario per la propria salvezza. Una posizione decisamente opposta a quella di Agostino. Pelagio sosteneva che la salvezza poteva essere guadagnata attraverso le buone opere, le quali impongono a Dio di salvare chi le compie. Egli minimizza l’idea di grazia ritenendola semplicemente una serie di richieste che Dio rivolge all’umanità: ad esempio i Dieci comandamenti. Per usare uno slogan potremmo dire che Agostino era per la “salvezza per grazia” e Pelagio per la “salvezza per meriti”.
Alla base di queste due visioni della salvezza vi è una differente concezione della natura umana. Per Agostino l’uomo è debole, decaduto, impotente, dipendente completamente da Dio per la salvezza, la quale è un dono immeritato. Per Pelagio la natura umana è autonoma e autosufficiente in quanto Dio si limita a dichiarare cosa occorre per salvarsi e poi lascia gli uomini liberi di seguire o meno le sue richieste e senza aiutarli in merito. Per Pelagio, dunque, la salvezza è una ricompensa meritata.
Vi è un aspetto della dottrina agostiniana che è stato sottaciuto nel V secolo ma che riemergerà prepotentemente nel secolo della Riforma: la predestinazione. Poiché gli uomini sono incapaci di salvarsi da sé e considerando che Dio ha dato la sua grazia solo ad alcuni, ne consegue che non tutti si salvano ma solo quelli che Dio ha prescelti. Il termine predestinazione si riferisce all’originaria ed eterna decisione di Dio di salvare alcuni e non altri. Bisogna dire che questo aspetto del pensiero di Agostino venne trascurato perché ritenuto non accettabile. Eppure nella controversia pelagiana il vincitore fu Agostino. Due concili stabilirono l’ortodossia del pensiero agostiniano: il Concilio di Cartagine del 418 e il Concilio di Orange del 529. Pelagio fu condannato quale eretico ed il termine “pelagiano” assunse una connotazione negativa descrivendo chi poneva eccessiva fiducia nelle capacità dell’essere umano e ponendo insufficiente fiducia nella grazia di Dio.
Ma perché una questione che sembrava risolta nel V secolo riesplose violentemente nel corso dei secoli XIV e XV? Il termine via moderna tende indicare quel movimento filosofico noto come “nominalismo” facente capo a pensatori come Guglielmo d’Occam, Pietro d’Ailly, Roberto Holcot e Gabriele Biel. Tale movimento cominciò a farsi strada nel corso del XV sec. presso molte università dell’Europa settentrionale, quali Parigi, Erfurt, Heidelberg. Accanto al nominalismo, questo movimento adottò una dottrina della giustificazione che si avvicinava di molto al pelagianesimo. Elemento centrale della via moderna è il tema del patto tra Dio e l’umanità. Nel basso Medioevo fiorirono molte teorie politiche che avevano alla loro base il concetto di patto (ad esempio tra sovrano e popolo) e i teologi della via moderna adottarono queste teorie per la loro spiegazione della giustificazione. Un patto politico tra re e popolo stabiliva e garantiva gli obblighi di ciascuno verso l’altro; parimenti un patto religioso tra Dio e il suo popolo definiva gli obblighi di Dio verso il popolo e viceversa. Tale patto non era il risultato di un negoziato ma era imposto in modo unilaterale da Dio stesso. Esso stabilisce le condizioni per la giustificazione dell’uomo peccatore. Dio ha deciso di giustificare un individuo a condizione che egli adempia le esigenze del patto. Queste esigenze venivano riassunte nel detto facere quod in se est (fare quello che è in te) ossia fare del tuo meglio. Quando l’individuo adempie tali esigenze Dio è obbligato, secondo i termini del patto, a giustificarlo. Un altro detto esprimeva questo concetto: facienti quod in se est Deus non denegat gratiam (Dio non nega la sua grazia a chi fa del suo meglio). Gabriel Biel, che influì su Lutero con i suoi scritti, spiegava che fare questo significava respingere il male e sforzarsi di compiere il bene. Il parallelismo con il pelagianesimo appare evidente: entrambi affermano che l’uomo è giustificato dai propri sforzi. La giustificazione, così, è opera umana avvenendo per mezzo delle buone azioni e non per grazia. In pratica, le buone opere obbligano Dio a ricompensarle; esse sono una sorta di conto aperto che Dio deve pagare.
E qui veniamo al titolo del nostro saggio, ossia come una teoria economica possa esser posta alla base di una dottrina della salvezza. I teologi della via moderna trassero spunto per la loro riflessione dalle teorie economiche in uso nel loro tempo. Una di esse è nota come “il re e la monetina di piombo”[2]. I sistemi monetari medievali usavano generalmente monete d’oro e d’argento, cosa che garantiva il valore delle monete stesse. Tale sistema, però, aveva generato la pratica di raschiare un po’ di metallo prezioso dai bordi della moneta. Per questo si sviluppò la lavorazione dell’orlo delle monete onde scoraggiare tale costume. Purtroppo, però, sovente i re si trovavano in crisi finanziarie a causa delle guerre che sostenevano. Il modo più frequente per ovviare a tali situazioni era di ritirare le monete d’oro e d’argento  e sostituirle con monete di piombo su cui veniva impresso lo stesso valore delle monete d’oro e d’argento. Dunque, il loro valore reale era trascurabile ma il valore attribuito o imposto era notevole, valore che veniva garantito dalla promessa del re di riscattare al più presto le monete di piombo con l’equivalente in oro e argento. Il valore di queste monete di piombo risiedeva nella promessa del re di trattarle come se fossero d’oro. D’altronde anche nelle economie moderne si riproduce lo stesso principio: il valore intrinseco della carta-moneta è nullo ma il suo valore deriva dalla promessa della banca di emissione di onorare il loro valore nominale.
I teologi della via moderna affermavano che le opere umane erano come le monete di piombo: senza valore di per sé. Ma Dio ha deciso, tramite il patto con l’umanità, di attribuire loro un valore maggiore. Con questo si mettevano al riparo dall’accusa di pelagianesimo. Pelagio infatti, sostenevano, trattava le opere umane come se avessero effettivo valore e così capaci di produrre di per sé la salvezza. Questi teologi invece affermavano che le opere umane sono come il piombo e cioè senza valore; l’unica ragione per cui hanno un valore è perché Dio così ha deciso.
Ma non tutti i teologi della via moderna la pensavano allo stesso modo. Ad Oxford Thomas Bradwardine, che divenne arcivescovo di Canterbury, scrisse un violento attacco contro la via moderna dal titolo De causa Dei contra Pelagium nel quale riproponeva le idee di Agostino. Le idee di Bradwardine furono riprese da John Wycliff in Inghilterra e da Gregorio da Rimini nell’università di Parigi. Quest’ultimo apparteneva all’ordine degli agostiniani. Come i domenicani diffondevano le idee di S. Tommaso d’Aquino, i francescani quelle di Duns Scoto, così gli agostiniani diffusero le idee di Gregorio da Rimini dando vita alla schola augustiniana moderna.
Ma quel’era il pensiero di questa scuola agostiniana? Gregorio aderiva al nominalismo e respingeva il realismo di Tommaso d’Aquino e Duns Scoto ed in questo concordava con i pensatori della via moderna. ciò che li differenziava era la diversa concezione della giustificazione. In Gregorio ritroviamo la necessità della grazia, la caduta e peccaminosità dell’umanità, l’iniziativa divina per quanto riguarda la giustificazione e la divina predestinazione. La salvezza è intesa come interamente opera di Dio. Mentre la via moderna insisteva sulla necessità delle opere per avviare la giustificazione facienti quod in se est (facendo del loro meglio), Gregorio insisteva sul fatto che solo Dio può dare inizio alla giustificazione. La via moderna riteneva che la capacità della salvezza fosse entro la natura umana, Gregorio sosteneva che tale capacità è al di fuori di essa. È ovvio che ci troviamo di fronte a due modi diversi di concepire il ruolo di Dio e dell’uomo nella giustificazione. Tali idee verranno riprese ed ampliate da Lutero e diverranno un cardine della Riforma.


[1] Libero adattamento del cap. 4 Scolastica e Riforma del libro Alister E. Mc Grath, Il pensiero della Riforma, ed. Claudiana, 1991, pp.59-71
[2] W.J. Courtenay, The King and the Leaden Coin: The Economic Background of Sine Qua Non Causality, in Traditio 28, 1972, pp. 185-209.