martedì 28 febbraio 2017

La Riforma come fenomeno cittadino.
Uno degli aspetti più notevoli della Riforma europea è che essa è stata in gran parte un fenomeno urbano. In Germania più di cinquanta delle sessantacinque città libere imperiali si dichiararono favorevoli alla Riforma, e soltanto cinque preferirono ignorarla del tutto. In Svizzera, la Riforma ebbe origine in un contesto urbano, la città di Zurigo, e si diffuse mediante il procedimento del dibattito pubblico all’interno di città confederate come Berna e Basilea, odi altri centri come Ginevra e San Gallo, legati a quelle città da accordi e trattati. Il protestantesimo francese ebbe inizio come un movimento prevalentemente urbano, con le sue radici nelle città maggiori: Lione, Orléans, Parigi, Poitiers e Rouen. Perché, ci si è chiesti spesso, la Riforma esercitava una così forte attrazione sulle comunità urbane del XVI secolo? Sono state avanzate numerose ipotesi per spiegare questo fenomeno.

L’ipotesi di Berndt Moeller.
Berndt Moeller ha sostenuto che il concetto di comunità urbana era stato distrutto nel XV secolo dall’aumento di tensione sociale all’interno delle città e da una crescente tendenza ad affidarsi a organismi politici esterni quali il governo imperiale o la curia papale[1]. Moeller sostiene che, con l’adozione della Riforma luterana, queste città furono in grado di ricuperare un senso di identità comunale, ivi compresa la nozione di una comunità religiosa collettiva capace di riunire gli abitanti in una vita religiosa comune. È significativo che moeller attiri l’attenzione sulle conseguenze sociali della dottrina luterana del sacerdozio universale di tutti i credenti, che fece abbandonare certe distinzioni tradizionali all’interno della società urbana e incoraggiò un senso profondo di unità comunale. Moeller sostiene che il pensiero di Lutero era il prodotto inevitabile delle regioni nord-orientali tedesche, culturalmente meno sviluppate, prive di quella raffinatezza presente nelle comunità più progredite della Germania sud-occidentale. Provenendo da una cittadina sassone che non aveva le strutture corporative delle gilde e gli stimoli comunali delle grandi città, ben difficilmente Lutero poteva evitare di produrre una teologia introversa, provinciale più che cittadina, incapace di rispondere alle necessità della disciplina comunale e delle strutture corporative cittadine.
Era prevedibile che la mancanza di familiarità di Lutero con le ideologie urbane contemporanee lo avrebbe condotto alla formulazione di una teologia tanto profonda e soggettiva, orientata verso l’introspezione individuale, quanto disimpegnata nella rigenerazione e nella disciplina delle comunità cittadine. Le teologie di Bucero e di Zwingli erano invece orientate, proprio all’opposto, verso le realtà dell’esistenza urbana. Bucero e Zwingli fondarono le loro ecclesiologie sul rapporto storico esistente fra comunità urbana e comunità ecclesiastiche, mentre Lutero fu costretto a edificare la sua ecclesiologia sulla base di una nozione astratta di grazia, che minacciava di compromettere l’unità cittadina.

L’ipotesi di Thomas Brady.
Una seconda spiegazione, di Thomas Brady, si fonda ampiamente sui dati della sua analisi della città di Strasburgo[2]. Brady sostiene che la decisione di adottare il protestantesimo a Strasburgo fu il risultato di una lotta di classe, in cui una coalizione di patrizi e di mercanti al potere ritenne l’unico mezzo a disposizione per poter mantenere la propria posizione sociale fosse allinearsi con la Riforma. Le oligarchie urbane introdussero la Riforma come un abile mezzo per conservare i propri interessi minacciati, messi in pericolo da un movimento di protesta popolare. Una situazione simile, ha sostenuto Brady, si è verificata anche in molte altre città.

L’ipotesi di Steven Ozment.
Una terza spiegazione dell’attrazione che la Riforma ha esercitato sulle comunità urbane del XVI secolo ha il suo centro nella dottrina della giustificazione per fede. In uno studio pubblicato nel 1975 Steven Ozment ha sostenuto che il fascino esercitato dal protestantesimo sulle classi popolari derivava da questa dottrina, che offriva sollievo dalla pressione psicologica del sistema penitenziale cattolico tardo-medievale e da una dottrina della giustificazione di tipo “semi-pelagiano” a questa connessa[3]. Dato che il peso di questo fardello psicologico era più grande e più evidente nelle comunità urbane – ha sostenuto Ozment – fu all’interno di queste comunità che il protestantesimo ha trovato il suo maggior sostegno popolare. Ozment ha sostenuto che Moeller ha accentuato troppo le differenze tra Lutero e i teologi sud-occidentali. I primi riformatori condividevano un messaggio comune, che può essere sintetizzato come la liberazione dei singoli credenti dai carichi psicologici imposti dalla religione del basso Medioevo. Nonostante le loro differenze, i riformatori che agivano d’intesa con le autorità civili dei loro paesi (magisterial reformers) – come appunto Bucero, Zwingli e Lutero – condividevano un comune impegno per proclamare la dottrina della giustificazione per grazia mediante la fede, eliminando così la necessità teologica delle (e annullando le preoccupazioni popolari per le) indulgenze, il purgatorio, l’invocazione dei santi, e così via.
Ciascuna di queste teorie è significativa; esse hanno fornito un importante stimolo per uno studio più particolareggiato dello sviluppo del protestantesimo urbano nella prima fase della Riforma. Eppure ciascuna di esse ha messo in evidenza delle debolezze, come in effetti ci si piò attendere da teorie globali ambiziose. Per esempio, nel caso di Ginevra, come vedremo, le tensioni sociali che alla fine condussero all’allineamento con la città protestante di Berna e all’adozione della Riforma di matrice zwingliana, non furono determinate da differenze di classe, ma da una spaccatura all’interno della stessa classe sociale sull’opportunità di restare uniti e soggetti al ducato di Savoia o di allinearsi con la Confederazione svizzera. I “mamelucchi” pro-savoiardi e gli “eiguenots” pro-bernesi provenivano ambedue dallo stesso gruppo sociale, caratterizzato da una gamma comune ben identificata di interessi economici, familiari e sociali condivisi. Similmente, l’ipotesi di Ozment di un interesse generale, nel popolo, per la dottrina della giustificazione per fede trova scarsi appoggi nel caso di molte città all’interno della Confederazione svizzera, o collegate a essa – come Zurigo, San Gallo e Ginevra – e trascura di tener conto delle esitazioni su quella dottrina da parte di molti riformatori svizzeri.

Elementi comuni nella Riforma urbana.
Nonostante questo, da uno studio sulle origini e sullo sviluppo della Riforma in città come Augusta, Basilea, Berna, Colmar, Erfurt, Francoforte, Amburgo, Lubecca Memmingen, Ulm e Zurigo, emergono alcuni aspetti comuni. È utile identificare questi elementi e notare come essi abbiano influito sulla nascita della Riforma nella stessa Ginevra.
In primo luogo, sembra che la Riforma nelle città sia stata adottata in risposta a determinate forme di pressione popolare mirante a una trasformazione dell’assetto sociale. Norimberga costituisce un caso raro di un Consiglio cittadino che attua una riforma senza una significativa protesta o richiesta popolare precedente. L’insoddisfazione tra le popolazioni urbane della prima metà del XVI secolo non era necessariamente soltanto di carattere religioso; lamentele e proteste sociali, economiche e politiche erano indubbiamente presenti, in misura diversa, all’interno di un groviglio di fermenti evidente a quel tempo. Normalmente i Consigli cittadini reagivano a questa pressione popolare canalizzandola spesso in direzioni confacenti ai propri bisogni e scopi. Quest’abile manipolazione di tale pressione era un modo ovvio di cooptare e controllare un movimento di protesta popolare potenzialmente pericoloso. Una delle osservazioni più significative che si possono fare riguardo alla Riforma delle città è che i regimi politici urbani preesistenti non subirono quasi mai cambiamenti sostanziali in seguito all’introduzione delle nuove dottrine e pratiche religiose, sostenendo con ciò che i Consigli cittadini erano n grado di rispondere alla pressione popolare senza effettuare cambiamenti radicali nell’ordine sociale esistente.
  Nel caso di Ginevra, si manifestò una notevole pressione popolare interna a favore di un più stretto rapporto d’alleanza con la Confederazione svizzera nel corso degli anni venti del’500. Questa pressione era stata il risultato di un certo numero di fattori, nessuno dei quali può essere a rigore considerato religioso. Ammesso che sia possibile individuare un’aspirazione dominante, questo era probabilmente il desiderio di gran parte dei cittadini eminenti di essere liberati dalla nefasta influenza del ducato di Savoia. Come varie altre città in quello stesso periodo, Ginevra aspirava ad una completa indipendenza, secondo il modello delle città svizzere[4] (Ginevra – è bene ricordarlo – entrerà nella Confederazione svizzera solo nel 1815). Era la libertà politica a costituire il punto di riferimento di molti fermenti ginevrini negli anni venti del ‘500, più che un particolare interesse religioso.
Nei primi anni trenta, tuttavia, entrò in scena un elemento religioso primario, fino a dominarla del tutto. L’alleanza della città con Berna determinò una crescente simpatia popolare per le posizioni evangeliche di quella città. Il Consiglio cittadino fu obbligato a venire incontro a questa pressione nel tentativo di evitare uno scontro militare, probabilmente disastroso, con la Savoia. Grazie ad una serie di mosse diplomatiche, nel 1534-35, il Consiglio cittadino fu in grado di vincere in astuzia i rappresentanti della Savoia, rafforzando la propria autorità e favorendo abilmente la causa evangelica senza provocare la resa dei conti finale con il ducato. Soltanto nel gennaio del 1536 il duca di Savoia Carlo II perse la pazienza con la diplomazia e decise l’intervento militare.
In secondo luogo, il successo della Riforma all’interno di una città dipendeva da un certo numero di situazioni storiche. Adottare la Riforma significava rischiare un cambiamento d’alleanze che poteva risultare disastroso, in quanto i trattati o le relazioni esistenti – militari, olitici e commerciali – con territori e città che sceglievano di rimanere cattolici venivano normalmente considerati decaduti per effetto di quella decisone. Le relazioni commerciali con una città da cui poteva dipendere la sua sopravvivenza economica rischiavano di essere così fatalmente compromesse. In questo modo il successo della Riforma a San Gallo fu dovuto in parte al fatto che l’industria cittadina di produzione del lino non fu danneggiata in misura significativa dalla decisione di aderire alla Riforma. Invece, una città come Erfurt, nelle immediate vicinanze di una città cattolica (Magonza) e di un territorio luterano (la Sassonia), non poteva rischiare di essere coinvolta in un conflitto militare con l’una o con l’altra di queste parti interessate, con risultati probabilmente fatali per l’indipendenza della città stessa[5]. Per di più, una grave mancanza di unione interna, come risultato della decisione di introdurre la Riforma, poteva rendere vulnerabile la città alle influenze esterne: fu questo uno dei motivi principali che spinsero il Consiglio della città di Erfurt a bloccare i tentativi di attuare la riforma negli anni venti del ‘500.
Nel caso di Ginevra, un fattore storico determinante era dato dalla presenza del ducato cattolico di Savoia e dei suoi alleati proprio alle soglie della città. Se si voleva che la Riforma trionfasse, era necessario neutralizzare la decisiva minaccia politica e militare contro la sua introduzione da parte di questo ducato. L’affermarsi del movimento, entro la città di Ginevra, che lottava per un’accettazione delle forme evangeliche di cristianesimo, negli anni 1532-35, finì per provocare una risposta militare da parte della Savoia nel gennaio 1536. Ginevra sarebbe stata completamente sopraffatta se non vi fosse stata l’alleanza militare con la città di Berna, che già era passata al fronte evangelico fin dagli ultimi anni venti del ‘500. Questo appoggio sarebbe stato integrato da aiuti economici da parte di istituti bancari evangelici, in particolare da Basilea, una volta che Ginevra avesse definitivamente accettato la Riforma. Come risultato, la pressione esterna per il mantenimento del cattolicesimo era più che controbilanciata. La Riforma poté avanzare. Tuttavia, un ulteriore fattore storico venne a complicare la situazione: Berna, avendo dato a Ginevra l’aiuto richiesto in un momento cruciale della sua storia, reclamava ora il proprio diritto di metterle la corda al collo. Ginevra non era libera di scegliere la sua strada per la Riforma: doveva adottare le credenze r le pratiche religiose già diffuse nella città di Berna.
In terzo luogo, la visione romantica e idealizzata di un riformatore che arriva in una città e predica l’evangelo, e ne segue una decisione immediata e unanime di adottare i principi della Riforma, deve essere abbandonata come del tutto irrealistica. Durante l’intero processo di Riforma, dalla decisione iniziale di avvio fino alle successive decisioni riguardanti la natura e i tempi successivi di attuazione delle proposte di riforma, era sempre il Consiglio della città ad avere in mano il controllo totale. La Riforma di Zwingli a Zurigo procedette in un modo molto più lento di quanto egli stesso avrebbe desiderato a motivo di un andamento prudente adottato dal Consiglio nei momenti cruciali[6]. Anche la libertà d’azione di Bucero a Strasburgo era limitata. Come Calvino avrà modo di scoprire, i Consigli cittadini conservavano il potere di espellere i riformatori dai loro uffici se avessero oltrepassato le linee politiche o le decisioni pubbliche prese dal Consiglio.
In pratica, il rapporto fra Consiglio cittadino e un riformatore era generalmente di simbiosi. Il riformatore, nel presentare una visione coerente dell’evangelo cristiano e delle sue conseguenze per le strutture religiose, sociali e politiche e per le iniziative pratiche di una città, era in grado di impedire che una situazione potenzialmente rivoluzionaria degenerasse nel caos. Il pericolo costante di un ritorno al cattolicesimo o la minaccia di sovversione da parte di movimenti anabattisti radicali rendevano necessaria e inevitabile la presenza di un riformatore. Qualcuno doveva imprimere una direzione religiosa a un movimento che se incontrollato senza direzione, poteva cadere nel disordine, con conseguenze inaccettabili e disastrose per le strutture di potere esistenti della città e per gli uomini che ne avevano la responsabilità. Il riformatore era quindi una persona sottoposta all’autorità, il suo potere d’azione era limitato dai responsabili politici, gelosi della loro autorità e portatori di un loro progetto di riforma che generalmente si estendeva al di là di quello del riformatore, in quanto comprendeva il consolidamento della propria influenza economica e sociale. Il rapporto tra riformatore e Consiglio cittadino era quindi molto delicato e facile a incrinarsi, ma il potere reale era stabilmente nelle mani del secondo.
Nel caso di Ginevra, si sviluppò un particolare rapporto fra il Consiglio della città e i suoi riformatori (inizialmente Guillaume Farel e Calvino, successivamente solo Calvino). Consapevole e geloso della sua autorità e libertà acquisita a duro prezzo, il Consiglio era ben deciso a non sostituire la tirannia di un vescovo cattolico con quella di un riformatore. Nel 1536 Ginevra aveva appena ottenuto la sua indipendenza dalla Savoia, e aveva sostanzialmente preservato questa indipendenza, nonostante tutti i tentativi di Berna di fare della città una sua “colonia”. Ginevra non aveva alcuna intenzione di ricevere ordini da nessuno, salvo che si trovasse nella dolorosa situazione di dover subire una massiccia pressione economica e militare. Come risultato di tutto questo, l’azione di Cavino dovette svolgersi entro limiti molto ristretti. La sua espulsione da Ginevra nel 1538 dimostra che il potere politico rimaneva saldamente nelle mani del Consiglio della città. L’idea che Calvino fosse il “dittatore di Ginevra” è totalmente priva di fondamento storico. Ciononostante, il Consiglio della città dovette constatare di non essere capace di fronteggiare una situazione religiosa che si deteriorava sempre di più durante l’assenza di Calvino. Con un atto di notevole pragmatismo sociale e di realismo religioso, il Consiglio decise allora il suo riformatore e gli permise di continuare il suo lavoro di riforma. Ginevra aveva bisogno di Calvino, proprio come Calvino aveva bisogno di Ginevra.






[1] B. Moeller, Imperial Cities and the Reformation, Filadelfia, 1972.
[2] T.A. Brady, Ruling Class, Regime and Reformation at Stasbourg, 1520-1555, Leiden, 1977.
[3] S.E. Ozment, The Reformation in the Cities: The Appeal of Protestantism to Sixteenth-Century Germany and Switzerland, New Haven, 1975.
[4] Le città svizzere erano spesso considerate, per quanto senza un reale fondamento storico, come modelli di libertà civica da parte delle loro consorelle tedesche oppresse: T.A. Brady, Turning Swiss: Cities and Empire, 1450-1550, Cambridge, 1985.
[5] Scribner, Civic Unity and the Reformation in Erfurt.
[6] F. Ferrario, La Sacra Ancora. Il principio scritturale nella Riforma zwingliana (1522-1525), Claudiana, 1993.