Tolleranza: una parola abusata.
Tolleranza significa un atteggiamento aperto e disponibile a riconoscere legittimità alle idee e ai comportamenti diversi dai nostri, significa accettare la libera manifestazione di ogni forma di pensiero, ideologia, convinzione religiosa anche radicalmente lontana da quella da noi condivisa. Dal punto di vista storico, la sensibilità alla tolleranza si è sviluppata nell’età moderna ma alcuni precedenti significativi avevano avuto luogo già nel mondo antico: ad esempio la critica elaborata dai Sofisti contro il concetto di civiltà quale monopolio di un solo gruppo, i Greci, in contrapposizione agli stranieri, ai barbari, tradizionalmente considerati “incivili”. Con particolare chiarezza all’interno della scuola sofistica, Protagora afferma la relatività dei valori e dei criteri di valutazione: ciò che appare giusto e morale a un popolo può apparire ingiusto ed immorale ad un altro, come dimostra la molteplicità di leggi, abitudini, comportamenti. Ed è proprio a causa di queste diversità che risulta impossibile fissare criteri di valore che si adattino ugualmente ai diversi gruppi umani. Considerazioni analoghe si ritrovano presso la scuola stoica, i cui membri sostengono l’esistenza di diverse tradizioni culturali che si innestano sulla comune base dei diritti naturali, cioè di norme di convivenza e di costumi originari caratterizzanti ogni comunità umana.
La diffusione del cristianesimo porta con sé elementi in deciso contrasto tra loro. Da una parte, affermando l’uguaglianza di tutti gli uomini in quanto figli di Dio, invita alla più totale disponibilità nei confronti dei propri simili; dall’altra, accentuando la propria unicità di fronte alle altre confessioni religiose e l’esclusiva veridicità del proprio Dio, tende ad assumere atteggiamenti di intolleranza verso gli altri, fino al ricorso a strumenti di violenza: le persecuzioni, le guerre. Atteggiamenti integralisti assumerà più tardi anche l’altra grande religione monoteista del bacino mediterraneo, l’Islam, come drammaticamente si verifica ancora oggi. L’altra religione monoteista, la terza e cioè l’Ebraismo, aveva già dato prova della propria intolleranza verso i culti stranieri nei secoli passati, come ben documenta l’AT.
Da questo conflitto interiore, ossia tolleranza del messaggio cristiano ed intolleranza derivante dalla sua unicità, si formerà poco per volta l’esigenza del confronto, della comprensione delle diversità e in ultima analisi, il riconoscimento del valore della tolleranza. Un importante contributo venne dalla cultura dell’Umanesimo che, a partire dall’Italia del XIV sec., si diffuse successivamente in tutta Europa. I pensatori umanisti si raccolsero in circoli e cenacoli, riunioni informali di uomini colti, liberi e spregiudicati, amanti della vita e dell’autonomia spirituale, accomunati dal desiderio di discutere insieme e fare cultura, per educarsi nel rapporto reciproco e nell’abitudine al vicendevole rispetto. Alla base vi era un’impostazione laica della ricerca che punta lo sguardo sui problemi umani degli individui e della società nelle dimensioni concrete della vita terrena. Lo studio deve concorrere ad una sempre migliore conoscenza della natura degli uomini e perciò al loro perfezionamento, all’affermazione della ragione come strumento di indagine, alla conquista della libertà intesa come pieno possesso di sé e del proprio agire, alla libera convivenza civile. Nello stesso tempo le scoperte geografiche, che subirono una vera e propria esplosione favorendo la conoscenza di civiltà e culture diverse da quella europea, avviarono la riflessione verso nuove problematiche.
Anche le vicende religiose che caratterizzarono l’inizio dell’età moderna giocarono un ruolo importante nella progressiva crescita del concetto di tolleranza. La riforma luterana ed il conseguente scisma della cristianità determinarono inizialmente duri scontri tra le diverse confessioni che sfociarono nella violenza fisica. L’Europa del Cinquecento e della prima metà del Seicento conobbe la dolorosa realtà delle guerre di religione. Tuttavia, proprio l’esasperata asprezza dei contrasti suscitò la preoccupata reazione di alcuni intellettuali che si fecero portatori di ideali di pace, di civile convivenza, di reciproco rispetto. Erasmo da Rotterdam denunciò la follia irrazionale della violenza, della guerra, dell’intolleranza; Tommaso Moro, Tommaso Campanella, Francesco Bacone nelle loro opere utopiche costruirono immagini di mondi ideali dove gli uomini vivevano liberi e sereni, laboriosamente impegnati a costruire insieme una società di giustizia e uguaglianza. Più specificamente Tommaso Moro, nelle pagine dell’Utopia, affermò con vigore l’esigenza del massimo rispetto delle convinzioni altrui, in primo luogo di quelle religiose: nessun uomo dev’essere costretto ad accettare determinate idee; se un’idea è migliore delle altre si imporrà naturalmente, grazie al suo intrinseco, autentico valore.
Con lucida coscienza, passando in rassegna i più diversi costumi degli uomini, Michel de Montaigne sottolineò la relatività dei valori e giudizi di principi. Nella nostra ricorrente chiusura mentale, barbari appaiono sempre gli altri, i diversi, gli artefici di una cultura estranea. Ciò che appare lontano dalla consuetudine viene di fatto giudicato lontano dalla ragione, cadendo così nell’irragionevolezza, mentre gli insegnamenti e i principi della verità sembrano sempre rivolti agli altri, mai a noi stessi; a quegli altri che, verosimilmente, vedono noi come barbari e strani, allo stesso modo in cui noi li valutiamo secondo un’ottica esclusivistica.
A Montaigne fece eco il conterraneo Cartesio. Egli ricorda i molti viaggi compiuti, impegnato a conoscere ambienti a lui non usuali, a frequentare gente di altra condizione, a far tesoro di esperienze diverse. Da questi viaggi, dall’incontro con i costumi di altri popoli, “il maggior profitto che ne cavavo era nel vedere accolte e approvate da altri grandi popoli molte cose che a noi sembravano stravaganti e ridicole, pe cui imparavo a non prestare troppa fede a nulla di cui mi si volesse persuadere soltanto con l’esempio e l’abitudine. Mi venni così liberando a poco a poco di molti errori che possono offuscare il nostro lume naturale e renderci meno capaci di ragionare”. Cartesio invita a seguire le leggi e i costumi in una determinata società, quella in cui viviamo, non perché più veri e giusti ma perché ci consentono una felice convivenza nel nostro ambiente. Egli invita, inoltre, a regolarci “secondo le opinioni più moderate, lontano da ogni eccesso, comunemente seguite dalle persone più assennate” con le quali ci troviamo a convivere. Il riferimento alla moderazione è significativo perché sottintende il rifiuto di ogni fanatismo e dogmatismo, di ogni contrapposizione radicale che non lasci spazio al libero gioco del confronto delle idee e delle opinioni: comincia ad intravvedersi, in queste parole, la figura della tolleranza.
Un contributo importante venne da quegli ambienti che si sforzarono di approfondire il tema dei rapporti tra fede e tolleranza. Si trattò di ambienti che fecero per lo più riferimento alle idee erasmiane, favorevoli alla libera discussione dei dotti su argomenti di carattere religioso e decisamente contrari all’uso della violenza nelle controversie dottrinali. Da qui vennero accorati appelli al superamento di ogni dissidio riguardante la fede così che cristiani, ebrei, musulmani possano comprendersi reciprocamente, confrontare in pace le reciproche posizioni, imparare l’uno dall’altro, rifiutando ogni forma di disprezzo e di forzata contrapposizione. Soprattutto vivo fu in questi circoli, che si ispiravano ad Erasmo, il rifiuto di contrasti e lotte interni alla comunità cristiana. Fuori dalla cristianità, infatti, tali fenomeni non potevano non apparire dannosi e controproducenti per la buona fama dell’Evangelo e del messaggio di Cristo. bisognava porre fine allo spettacolo scandaloso e triste di cristiani che si combattevano fra loro, immemori della verità comune; la sapienza non può andare disgiunta dalla carità, che è sforzo di comprensione delle ragioni altrui. Come si poteva pensare di diffondere la buona novella se coloro che intorno ad essa si raccoglievano, invece di aiutarsi reciprocamente, si combattevano?
Un decisivo passo in avanti nell’elaborazione del concetto della libertà umana nel pensare e nell’aderire ad una confessione religiosa venne compiuto da Spinoza, il quale affermò che il fine primario dell’organizzazione politica e di quella religiosa è di difendere e garantire all’uomo la libertà di pensiero, usando argomenti nuovi legati alla logica mercantile. Nella libera città di Amsterdam, affermò, “convivono in perfetta armonia uomini di tutte le nazionalità di tutte le religioni”; ciascuno viene giudicato in base alle sue competenze, alla sua capacità di correttamente, alla sua bravura professionale, non in base alla religione o alla setta cui appartiene. Anche il filosofo inglese John Locke sottolineò l’importanza della libera scelta nelle cose di fede e il significato controproducente dell’uso della forza, in quanto nessuno può essere salvato suo malgrado: “Se qualcuno vuole accogliere qualche dogma, o praticare qualche culto per salvare la propria anima, deve credere pienamente che quel dogma è vero e che il culto sarà gradito e accetto a Dio; ma nessuna pena è in nessun modo in grado di instillare nell’anima una convinzione di questo genere”. Locke sviluppò alcune considerazioni fondamentali sulla libertà di coscienza; l’idea di tolleranza scaturì dall’analisi parallela del concetto di Stato e del concetto di Chiesa e venne visto come il punto di convergenza delle loro funzioni e dei loro rispettivi interessi. Lo Stato è una società di uomini costituita allo scopo di tutelare i beni civili, ad esso non compete invece ciò che concerne la salvezza dell’anima. A questo fine tende la Chiesa, come “libera società di uomini che si riuniscono spontaneamente per onorare in pubblico Dio nel modo che credono sarà accetto alla divinità”. Proprio perché società libera e volontaria, la Chiesa non si occupa di beni civili o terreni, né può fare ricorso a strumenti coercitivi, in quanto l’impiego della forza, quando necessario, compete soltanto al magistrato civile.
Le conquiste del pensiero liberal-democratico condussero così al definitivo riconoscimento del principio della libertà religiosa e correlativamente all’ideale della tolleranza. Nell’ambito dell’illuminismo questi motivi vennero variamente sviluppati e articolati. L’impegno ad esercitare la ragione umana in modo libero e pubblico ai fini di un generale miglioramento della vita collettiva comportò una lotta a fondo contro i pregiudizi, le superstizioni, gli errori ideologici tramandati di generazione in generazione, i settarismi e le chiusure mentali di ogni genere. Le rivendicazioni dei diritti naturali, l’esaltazione della felicità come la situazione in cui gli uomini realizzano, in pace, i propri bisogni materiali e spirituali, il rifiuto del fanatismo, il progetto di uno Stato laico, fecero da sfondo alle diverse riflessioni sulla tolleranza, sul vicendevole rispetto, sui diritti dell’uomo come valore fondamentale in ogni momento e situazione. Un esempio di ciò sono le argomentazioni di Cesare Beccaria contro l’uso della tortura e della pena di morte nella pratica legislativa: se la pena di morte appare “come una guerra della nazione contro il cittadino”, la tortura si rivela non solo illegittima ma anche inutile, perché è assurdo pensare che “il dolore divenga il crogiuolo della verità, quasi che il criterio di essa risieda nei muscoli e nelle fibre di un miserabile”.
Una netta presa di posizione contro il dogmatismo e l’intolleranza ebbe luogo in Voltaire, il quale denunciò i gravi pericoli prodotti dal dogmatismo e dalle dispute assolutiste. Gli uomini devono imparare a capirsi fuori delle chiusure ideologiche, innanzi tutto i cristiani fra loro ma anche tutti coloro che si riconoscono in fedi e tradizioni religiose diverse: cristiani, turchi, ebrei, cinesi, siamesi, perché gli uomini, al di là delle differenze immediate, sono tutti fratelli in quanto figli dello stesso Padre, creature dello stesso Dio. Il disegno della tolleranza universale è così portato a compimento nell’ambito di un nuovo progetto di valorizzazione della razionalità umana.
Nonostante tragiche sopravvivenze del passato – in pieno Settecento illuministico ancora si processano e si bruciano le streghe – e il tenace persistere di vecchie convinzioni, almeno sul piano dell’elaborazione teorica il concetto di tolleranza può dirsi ormai una conquista realizzata. L’approfondimento di conoscenze storiche ed etnologiche nel corso dell’Ottocento apportò ulteriori conferme mentre la cultura novecentesca fece del principio della tolleranza un fattore universalmente riconosciuto e variamente fissato in statuti e prese di posizione internazionali. Alcuni pensatori contemporanei nelle loro riflessioni sulla società democratica hanno contribuito, in tempi recenti, a rivitalizzare in una nuova prospettiva la tematica della tolleranza. Essi, infatti, evidenziando l’importanza del dialogo e del libero confronto come via legittima esclusiva per costruire una società di uomini liberi ed uguali e una dimensione di pace fra i diversi popoli, si sono idealmente congiunti a tutti coloro che, nel corso del pensiero moderno, avevano faticosamente contribuito a costruire la speranza in un mondo basato sulla libera scelta ideologica e il rispetto reciproco fra gli uomini. la cosiddetta “fine delle ideologie”, abbattendo solidi steccati e mettendo fine a storiche contrapposizioni, ha aperto la via ad un più libero confronto fra i diversi popoli del mondo.
Gli uomini di buona volontà trovano oggi un terreno più favorevole ai loro sforzi di reciproca comprensione e di rispetto delle diverse esigenze culturali. La Costituzione italiana sancisce l’idea di tolleranza negli artt. 3 e 8. È bene riportare in stralcio ciò che recitano tali articoli: Art 3 “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali…”. Art. 8 “Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge. Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano…”.