Per la durezza del vostro cuore.
La chiesa cattolica considera il
matrimonio un sacramento istituito, anche se non direttamente, da Cristo
stesso. Da questo assunto fa derivare tutta la sua teologia del matrimonio fino
a farne il puntum dirimens della condotta dei fedeli: chi trasgredisce su
questo punto è allontanato senza appello dal frequentare i sacramenti, in
specie l’eucaristia. Eppure il cammino che ha portato questa istituzione
puramente umana ad essere sacralizzato è stato lungo. È solo recentemente che
il matrimonio viene visto come unione d’amore tra i coniugi; il codice del1917
vedeva in esso ancora un remedium
concupiscientiae ed un semplice contratto tra un uomo ed una donna in vista
della procreazione. In tempi recenti, invece, sulla scia dell’apertura mostrata
dal Concilio Vaticano II, la riflessione della chiesa cattolica si è arricchita
degli apporti delle scienze umane che hanno modificato la visione teologica ma
non quella, purtroppo, giuridica. Ad uno sguardo sincero e scevro da
pregiudizi, la teologia cattolica appare inficiata da alcune pregiudiziali di
ordine biblico, teologico, giuridico e pratico. Ma procediamo con ordine.
Il dato biblico.
Il matrimonio nell’AT ha come
funzione primaria il procurare una discendenza (Ge 1,28ss); pur di raggiungere
questo scopo è consentita la poligamia (Ge 16,1ss) ed in tale ottica è da
intendersi l’istituto del levirato (Dt 25,5ss; Lv 20,22). Dai patriarchi fino
al periodo monarchico compreso, la poligamia appare un dato pacifico: Abramo,
Giacobbe, Davide, Salomone, per citarne alcuni, hanno più mogli. Tuttavia il
matrimonio monogamico comincia a farsi strada, soprattutto nella concezione
sacerdotale (cfr. il racconto di Ge 1,28 e 2,18ss). Nel Deuteronomio
addirittura la monogamia viene imposta al re (Dt 17,17). Naturalmente
l’adulterio è punito severamente (Dt 22,22); eso sconvolge l’unità matrimoniale
che viene messa in relazione con la violazione dell’alleanza (Ge 20,3ss).
L’adulterio viene considerato un tratto distintivo in negativo dei popoli
pagani, per questo va evitato.
Il dato biblico offre, così, una
presentazione ambivalente del matrimonio: da una parte esalta la fedeltà
coniugale offrendo esempi da imitare, dall’altra vi è tutta una panoramica di
stampo opposto ove le infedeltà occupano ampio spazio, coinvolgendo anche
personalità ragguardevoli della storia sacra veterotestamentaria. Tutto questo
dimostra come la Bibbia vive della stessa tensione dell’esistenza umana: da un
lato l’ideale e dall’altro la pratica quotidiana. È su questa tensione tra
ideale e reale che si instaura l’operato profetico. Il matrimonio è visto come
simbolo dell’alleanza tra Dio e il popolo d’Israele e la sua violazione è
paragonata all’adulterio. I testi profetici sono pieni di immagini desunte
dall’ambiente familiare per indicare la relazione esistente tra Dio e il popolo
(cfr. Is 66,9; 49,15-16; 50,1; 61,10; 62,5). Sarà Osea il primo profeta a fare
dell’immagine nuziale un concetto teologico di riferimento per designare
l’alleanza Dio/Israele (Os 1-3). I culti idolatrici a cui Israele si abbandona
vengono paragonati alle infedeltà in ambito matrimoniale. Geremia riprende
questi temi ma ne stempera i toni (Ger 2,2; 3,8ss). Anche Ezechiele utilizza
questa simbologia (Ez 16,8; 23). Ma è in Malachia che tale similitudine
raggiunge il vertice: Mal 2,14-15. Il passo presenta non poche difficoltà di
critica testuale ma il matrimonio è presentato come alleanza. Tutto il filone
della letteratura sapienziale esalta, anche con riferimenti pratici alla vita
quotidiana, i valori del matrimonio e della famiglia. Il libro di Proverbi
parla frequentemente delle seduzioni della donna straniera (zanah) e della forestiera (makrijjah),
termini esprimenti la stessa cosa ossia la donna appartenente ad un altro uomo.
La donna forestiera deve essere evitata per il fatto che il matrimonio è in rapporto
con l’alleanza e come non è lecito tradire l’alleanza così non si può violare
il matrimonio. Naturalmente questo vale solo all’interno del popolo di Israele.
I matrimoni misti, ossia con donne non appartenenti al popolo eletto, vengono
scoraggiati per un’esigenza di purità cultuale e nazionale. All’epoca nomadica
e del primo insediamento in Palestina, dunque fino ai Giudici, vi era una
naturale ripugnanza per le popolazioni del luogo. Fu quando Israele si rese
stanziale che i divieti sui matrimoni misti persero il loro carattere
vincolante. Per questo un certo filone profetico, che si vorrebbe far risalire
a Samuele, non accettò di buon grado lo stabilirsi in modo definitivo in Terra
Santa preferendo l’ideale dell’esodo. Ma è il Cantico dei Cantici ad osannare l’amore
umano. Si tratta di un messaggio molto profondo in cui l’esperienza umana, che
già può intuire le esigenze dell’amore vero, si fonde con il messaggio
profetico che rende questa esperienza simbolo dell’amore di Dio verso il suo
popolo. È questo il motivo del suo inserimento nel canone biblico.
πορνεύω
= prostituire; πόρνη
= prostituta; πόρνος
= fornicatore; πορνεία
= prostituzione, impudicizia. In greco tali vocaboli indicavano le diverse
forme di rapporti extraconiugali. μοιχεύω
= commettere
adulterio; μοίχος = adultero; μοιχεία = adulterio. In ebraico zānāh = prostituire e nāāpf adulterio. Nel tardo giudaismo
zenut indica sia la prostituzione e ogni rapporto extraconiugale, sia tutti i
matrimoni di parentela non permessi dal diritto. L’incesto e tutti i rapporti
contro natura furono considerati prostituzione. Nel NT questi vocaboli
ricorrono 55 volte, di cui 21 solo in Paolo.
Anticamente “nei primi secoli i cristiani si sposavano allo stesso modo degli atri
senza andare in chiesa”.[1]Il
NT recepisce l’istituto matrimoniale come dato scontato, facendolo rientrare
nell’ottica del progetto di Dio per la creazione, come dimostrano le citazioni
del racconto delle origini contenute in Ge 1,17 e 2,26 (cfr Mc 10,6; Mt 19,4ss;
1Co 6,16; Ef 5,31). Esso è un dato ovvio è va difeso dall’impudicizia (Eb
13,4). Anche Gesù difende il matrimonio: per lui è peccato anche il solo
desiderare di tradire (Mt 5,27) eppure è pronto a perdonare tale peccato (Gv
8,1ss). A prima vista sembrerebbe che il NT appoggi un no di principio al
divorzio e Gesù stesso sarebbe all’origine di tale ordinamento. Al tempo di
Gesù meretrici e pubblicani erano esclusi dalla salvezza mentre Gesù annuncia
anche ad essi il suo messaggio salvifico. Non è chiaro se le clausole di Mt
5,32 e 19,9 vadano intese come rapporti extraconiugali o come prostituzione.
È il testo di Ef 5,21-33 che
viene usato per fondare la teologia cattolica sul matrimonio. In esso la chiesa
vede un riflesso del rapporto Cristo/chiesa. Tale immagine non si esaurisce
nell’essere un simbolo ma diviene segno sensibile ed efficace della grazia, in
pratica un sacramento: gli sposi oggettivano nel loro matrimonio l’unione tra
Cristo e la chiesa. Ed è qui che la teologia cattolica opera un indebito
passaggio dal piano simbolico al piano reale, rendendo una realtà concreta ed
oggettiva, dunque riproducibile, quella che è solo un simbolo. D’altronde è lo
stesso indebito passaggio operato dalla dottrina della transustanziazione, la
quale reifica tutta la simbologia della Santa Cena. Da dire che in quest’opera
di sacramentalizzazione del matrimonio ha influito molto una certa traduzione
biblica. Infatti la Vulgata traduceva la parola greca mysterion con la parola latina sacramentum
e questo ha facilitato lo sviluppo della teologia cattolica sul matrimonio.
E anche quando fu riconosciuta questa cattiva traduzione, il danno ormai era
fatto. Non c’è ragione di far emergere dal testo più di quanto esso non dica,
infatti proseguendo con la lettura del brano si nota come certi aspetti sociali
vengano toccati. Se si procedesse con la loro sacramentalizzazione bisognerebbe
ritenere ogni lotta per il progresso e la libertà contraria al volere divino,
cosa che peraltro storicamente è stato fatto.
Paolo fa riferimento al mistero
intendendo l’unione tra Cristo e la Chiesa la quale funge da modello per le
unioni matrimoniali. Infatti in altri passi quando parla del matrimonio, Paolo
utilizza un tono esortativo e non assolutorio come nel caso degli abusi durante
la Santa Cena. Il problema è sempre nell’interpretazione dei testi: chi intende
il matrimonio come sacramento leggerà nei testi tale intendimento; chi al
contrario non considera il matrimonio un sacramento, vedrà nei testi solo
un modello di comportamento. È chiaro
che i primi cristiani intendevano il matrimonio non un sacramento, data la sua genesi
tardiva in tal senso.
Si parte dalla teologia biblica
della creazione e la si rapporta con l’alleanza. Dio ha creato l’universo e
l’uomo avendo in mente ciò che sarà alla fine: la perfetta comunione di vita con
il Padre nel Figlio per mezzo dello Spirito. In Gn 2,24 vi è il progetto originario
per il matrimonio e Gesù si riallaccia ad esso. Gn 1-2 non parla primariamente
di cosmologia ma di alleanza: Dio crea l’uomo in vista dell’alleanza. L’etica
matrimoniale deriva dal mistero dell’alleanza tra Cristo e la Chiesa e non in
forza di una legge. Il matrimonio umano è copia terrena del matrimonio celeste.
Siamo in un linguaggio simbolico, che per sua natura rimanda ad altra realtà.
È ovvio ritenere il matrimonio, sulla scia della simbologia
veterotestamentaria che il NT recepisce, come simbolo dell’alleanza
Cristo/chiesa ma da qui a fare di questo simbolo un sacramento il passo è
lungo. Gesù in un passo disse: “che la sapienza “ quali opere ha prodotto la
teologia cattolica sul matrimonIo? In passato comportamenti ipocriti, coppie
separate di fatto ma formalmente ancora unite, uomini che conducevano una
doppia vita, uxoricidi commessi al solo scopo di liberarsi da un vincolo
divenuto oppressivo. Nel presente migliaia di sinceri cristiani esclusi dal
sacramento per la loro condotta coniugale; migliaia di nuove felici unioni non
benedette poiché considerate peccato; inoltre non sono pochi i sacerdoti che
rifiutano il battesimo a bimbi nati all’interno delle nuove unioni.