sabato 22 giugno 2013

Per la durezza del vostro cuore.

La chiesa cattolica considera il matrimonio un sacramento istituito, anche se non direttamente, da Cristo stesso. Da questo assunto fa derivare tutta la sua teologia del matrimonio fino a farne il puntum dirimens della condotta dei fedeli: chi trasgredisce su questo punto è allontanato senza appello dal frequentare i sacramenti, in specie l’eucaristia. Eppure il cammino che ha portato questa istituzione puramente umana ad essere sacralizzato è stato lungo. È solo recentemente che il matrimonio viene visto come unione d’amore tra i coniugi; il codice del1917 vedeva in esso ancora un remedium concupiscientiae ed un semplice contratto tra un uomo ed una donna in vista della procreazione. In tempi recenti, invece, sulla scia dell’apertura mostrata dal Concilio Vaticano II, la riflessione della chiesa cattolica si è arricchita degli apporti delle scienze umane che hanno modificato la visione teologica ma non quella, purtroppo, giuridica. Ad uno sguardo sincero e scevro da pregiudizi, la teologia cattolica appare inficiata da alcune pregiudiziali di ordine biblico, teologico, giuridico e pratico. Ma procediamo con ordine.
Il dato biblico.
Il matrimonio nell’AT ha come funzione primaria il procurare una discendenza (Ge 1,28ss); pur di raggiungere questo scopo è consentita la poligamia (Ge 16,1ss) ed in tale ottica è da intendersi l’istituto del levirato (Dt 25,5ss; Lv 20,22). Dai patriarchi fino al periodo monarchico compreso, la poligamia appare un dato pacifico: Abramo, Giacobbe, Davide, Salomone, per citarne alcuni, hanno più mogli. Tuttavia il matrimonio monogamico comincia a farsi strada, soprattutto nella concezione sacerdotale (cfr. il racconto di Ge 1,28 e 2,18ss). Nel Deuteronomio addirittura la monogamia viene imposta al re (Dt 17,17). Naturalmente l’adulterio è punito severamente (Dt 22,22); eso sconvolge l’unità matrimoniale che viene messa in relazione con la violazione dell’alleanza (Ge 20,3ss). L’adulterio viene considerato un tratto distintivo in negativo dei popoli pagani, per questo va evitato.
Il dato biblico offre, così, una presentazione ambivalente del matrimonio: da una parte esalta la fedeltà coniugale offrendo esempi da imitare, dall’altra vi è tutta una panoramica di stampo opposto ove le infedeltà occupano ampio spazio, coinvolgendo anche personalità ragguardevoli della storia sacra veterotestamentaria. Tutto questo dimostra come la Bibbia vive della stessa tensione dell’esistenza umana: da un lato l’ideale e dall’altro la pratica quotidiana. È su questa tensione tra ideale e reale che si instaura l’operato profetico. Il matrimonio è visto come simbolo dell’alleanza tra Dio e il popolo d’Israele e la sua violazione è paragonata all’adulterio. I testi profetici sono pieni di immagini desunte dall’ambiente familiare per indicare la relazione esistente tra Dio e il popolo (cfr. Is 66,9; 49,15-16; 50,1; 61,10; 62,5). Sarà Osea il primo profeta a fare dell’immagine nuziale un concetto teologico di riferimento per designare l’alleanza Dio/Israele (Os 1-3). I culti idolatrici a cui Israele si abbandona vengono paragonati alle infedeltà in ambito matrimoniale. Geremia riprende questi temi ma ne stempera i toni (Ger 2,2; 3,8ss). Anche Ezechiele utilizza questa simbologia (Ez 16,8; 23). Ma è in Malachia che tale similitudine raggiunge il vertice: Mal 2,14-15. Il passo presenta non poche difficoltà di critica testuale ma il matrimonio è presentato come alleanza. Tutto il filone della letteratura sapienziale esalta, anche con riferimenti pratici alla vita quotidiana, i valori del matrimonio e della famiglia. Il libro di Proverbi parla frequentemente delle seduzioni della donna straniera (zanah) e della forestiera (makrijjah), termini esprimenti la stessa cosa ossia la donna appartenente ad un altro uomo. La donna forestiera deve essere evitata per il fatto che il matrimonio è in rapporto con l’alleanza e come non è lecito tradire l’alleanza così non si può violare il matrimonio. Naturalmente questo vale solo all’interno del popolo di Israele. I matrimoni misti, ossia con donne non appartenenti al popolo eletto, vengono scoraggiati per un’esigenza di purità cultuale e nazionale. All’epoca nomadica e del primo insediamento in Palestina, dunque fino ai Giudici, vi era una naturale ripugnanza per le popolazioni del luogo. Fu quando Israele si rese stanziale che i divieti sui matrimoni misti persero il loro carattere vincolante. Per questo un certo filone profetico, che si vorrebbe far risalire a Samuele, non accettò di buon grado lo stabilirsi in modo definitivo in Terra Santa preferendo l’ideale dell’esodo. Ma è il Cantico dei Cantici ad osannare l’amore umano. Si tratta di un messaggio molto profondo in cui l’esperienza umana, che già può intuire le esigenze dell’amore vero, si fonde con il messaggio profetico che rende questa esperienza simbolo dell’amore di Dio verso il suo popolo. È questo il motivo del suo inserimento nel canone biblico.
πορνεύω = prostituire; πόρνη = prostituta; πόρνος = fornicatore; πορνεία = prostituzione, impudicizia. In greco tali vocaboli indicavano le diverse forme di rapporti extraconiugali. μοιχεύω = commettere adulterio; μοίχος = adultero; μοιχεία = adulterio. In ebraico zānāh = prostituire e nāāpf adulterio. Nel tardo giudaismo zenut indica sia la prostituzione e ogni rapporto extraconiugale, sia tutti i matrimoni di parentela non permessi dal diritto. L’incesto e tutti i rapporti contro natura furono considerati prostituzione. Nel NT questi vocaboli ricorrono 55 volte, di cui 21 solo in Paolo.
Anticamente “nei primi secoli i cristiani si sposavano allo stesso modo degli atri senza andare in chiesa”.[1]Il NT recepisce l’istituto matrimoniale come dato scontato, facendolo rientrare nell’ottica del progetto di Dio per la creazione, come dimostrano le citazioni del racconto delle origini contenute in Ge 1,17 e 2,26 (cfr Mc 10,6; Mt 19,4ss; 1Co 6,16; Ef 5,31). Esso è un dato ovvio è va difeso dall’impudicizia (Eb 13,4). Anche Gesù difende il matrimonio: per lui è peccato anche il solo desiderare di tradire (Mt 5,27) eppure è pronto a perdonare tale peccato (Gv 8,1ss). A prima vista sembrerebbe che il NT appoggi un no di principio al divorzio e Gesù stesso sarebbe all’origine di tale ordinamento. Al tempo di Gesù meretrici e pubblicani erano esclusi dalla salvezza mentre Gesù annuncia anche ad essi il suo messaggio salvifico. Non è chiaro se le clausole di Mt 5,32 e 19,9 vadano intese come rapporti extraconiugali o come prostituzione.
È il testo di Ef 5,21-33 che viene usato per fondare la teologia cattolica sul matrimonio. In esso la chiesa vede un riflesso del rapporto Cristo/chiesa. Tale immagine non si esaurisce nell’essere un simbolo ma diviene segno sensibile ed efficace della grazia, in pratica un sacramento: gli sposi oggettivano nel loro matrimonio l’unione tra Cristo e la chiesa. Ed è qui che la teologia cattolica opera un indebito passaggio dal piano simbolico al piano reale, rendendo una realtà concreta ed oggettiva, dunque riproducibile, quella che è solo un simbolo. D’altronde è lo stesso indebito passaggio operato dalla dottrina della transustanziazione, la quale reifica tutta la simbologia della Santa Cena. Da dire che in quest’opera di sacramentalizzazione del matrimonio ha influito molto una certa traduzione biblica. Infatti la Vulgata traduceva la parola greca mysterion con la parola latina sacramentum e questo ha facilitato lo sviluppo della teologia cattolica sul matrimonio. E anche quando fu riconosciuta questa cattiva traduzione, il danno ormai era fatto. Non c’è ragione di far emergere dal testo più di quanto esso non dica, infatti proseguendo con la lettura del brano si nota come certi aspetti sociali vengano toccati. Se si procedesse con la loro sacramentalizzazione bisognerebbe ritenere ogni lotta per il progresso e la libertà contraria al volere divino, cosa che peraltro storicamente è stato fatto.
Paolo fa riferimento al mistero intendendo l’unione tra Cristo e la Chiesa la quale funge da modello per le unioni matrimoniali. Infatti in altri passi quando parla del matrimonio, Paolo utilizza un tono esortativo e non assolutorio come nel caso degli abusi durante la Santa Cena. Il problema è sempre nell’interpretazione dei testi: chi intende il matrimonio come sacramento leggerà nei testi tale intendimento; chi al contrario non considera il matrimonio un sacramento, vedrà nei testi solo un  modello di comportamento. È chiaro che i primi cristiani intendevano il matrimonio non un sacramento, data la sua genesi tardiva in tal senso.
Si parte dalla teologia biblica della creazione e la si rapporta con l’alleanza. Dio ha creato l’universo e l’uomo avendo in mente ciò che sarà alla fine: la perfetta comunione di vita con il Padre nel Figlio per mezzo dello Spirito. In Gn 2,24 vi è il progetto originario per il matrimonio e Gesù si riallaccia ad esso. Gn 1-2 non parla primariamente di cosmologia ma di alleanza: Dio crea l’uomo in vista dell’alleanza. L’etica matrimoniale deriva dal mistero dell’alleanza tra Cristo e la Chiesa e non in forza di una legge. Il matrimonio umano è copia terrena del matrimonio celeste. Siamo in un linguaggio simbolico, che per sua natura rimanda ad altra realtà.
È ovvio ritenere il matrimonio,  sulla scia della simbologia veterotestamentaria che il NT recepisce, come simbolo dell’alleanza Cristo/chiesa ma da qui a fare di questo simbolo un sacramento il passo è lungo. Gesù in un passo disse: “che la sapienza “ quali opere ha prodotto la teologia cattolica sul matrimonIo? In passato comportamenti ipocriti, coppie separate di fatto ma formalmente ancora unite, uomini che conducevano una doppia vita, uxoricidi commessi al solo scopo di liberarsi da un vincolo divenuto oppressivo. Nel presente migliaia di sinceri cristiani esclusi dal sacramento per la loro condotta coniugale; migliaia di nuove felici unioni non benedette poiché considerate peccato; inoltre non sono pochi i sacerdoti che rifiutano il battesimo a bimbi nati all’interno delle nuove unioni.




[1] Nuovo Dizionario Teologico, voce Matrimonio, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo, p. 877.