I diritti umani, la questione del
fondamento.
Premessa.
Volendo andare alla ricerca del prima, che tra l’altro non può essere
scisso dal poi, rispetto alla
Dichiarazione del 1948 si potrebbe arrivare a una riflessione paradossale: gli
antecedenti della Dichiarazione sono rinvenibili nell’inizio stesso della
storia dell’uomo, nel senso che il concetto stesso di uomo si lega all’indispensabile sussistenza di un nucleo di diritti
indefettibili, reso via via manifesto, individuabile direttamente
nell’esperienza storica. In tale ottica la nozione stessa di diritti
fondamentali è connaturata all’uomo, per cui si potrebbe parlare di “diritti
connaturati”, superando le antiche accezioni di diritti naturali e di diritti
innati.
La posizione classica.
Prima di affrontare gli elementi
che storicamente possono aiutare a fondare la connaturalità dei diritti in questione,
nel senso che fa parte dell’essenza stessa dell’uomo la presenza di un nucleo
indefettibile di diritti che si concretizza in un’ampiezza contenutistica e una
valenza giuridica in relazione alle diverse esperienze storiche, occorre
affrontare la problematica riguardo al fondamento dei diritti dell’uomo. A tal
proposito, diverse furono le teorie: riassumendo, si può far riferimento alla
differenza tra la visione classica, di tipo giusnaturalistico, basata su un
fondamento assoluto, metastorico, dei diritti umani secondo cui ogni persona
possiede diritti fondamentali e inalienabili, naturali e anteriori alla società stessa; e una prospettiva
moderna, in base alla quale i diritti essenziali dell’uomo sono di volta in
volta variabili, soggetti al flusso del divenire e traggono origine dalla
società con riferimento ai movimenti della storia. Ma vi sono altre teorie
fondative: ad esempio, alcuni pongono tale fondamento in una sorta di simmetria
che implica la reciprocità tra diritto
e obbligo, da cui discenderebbe sotto
il profilo più propriamente filosofico la stessa universalità dei diritti
fondamentali. Norberto Bobbio, invece, pone il fondamento dei diritti nella storia
e nel consenso della moltitudine di popoli, asserendo che un tale
fondamento assoluto non è né possibile né desiderabile. Bobbio fa riferimento a
tre modalità:
-
il dedurli da un dato obiettivo costante, come
la natura umana;
-
il considerarli come verità per se stesse
evidenti;
-
lo scoprire che in un dato periodo storico sono
generalmente acconsentiti, come viene provato in particolare dal consenso.
È proprio su quest’ultimo
elemento insiste Bobbio, il quale ha evidenziato che il fondamento storico del
consenso è l’unico che possa essere fattualmente provato e che la Dichiarazione
universale dei diritti umani può essere accolta come la più grande prova
storica, che mai sia stata data, del consensus
omnium gentium, circa un determinato sistema di valori.
I precedenti nella storia del pensiero giuridico.
Il mondo greco-romano
Per la comprensione della genesi
e del successivo sviluppo storico dei diritti umani è utile alla nostra
trattazione premettere un breve exursus storico che, per ovvie ragioni, deve
sorvolare sulla mole di materiale giuridico accumulatosi nel corso dei secoli
pur senza trascurare i momenti salienti di tale sterminata produzione. Le più antiche testimonianze di embrioni di
diritti umani risiedono nei poemi epici di Omero: l’Iliade e l’Odissea. Già in
questo contesto primordiale emerge una timida distinzione tra la themis e la dike. La prima nozione indica una decisione ispirata dagli dei, un
comportamento moralmente doveroso anche se non conveniente, rispondente ad una
sorta di coscienza sociale collettiva; il secondo termine può significare una
legge terrena. Anche la tragedia dell’Antigone scritta da Sofocle intorno alla
metà del V sec. a.C. è fondata sul dilemma tra l’adempimento o meno ad una norma
scritta che cozza contro i valori morali diffusi nella collettività. In
quest’opera Sofocle fa riferimento a leggi non scritte, inalterabili, fissate
dagli dei, eterne e di origine soprannaturale. Da ciò derivò il principio del
tirannicidio, principio rinvenibile nel XVII secolo, a cui si appellarono i
padri costituenti americani e francesi per legittimare le loro rivoluzioni.
Quanto all’epoca romana, si può
fare riferimento a Cicerone e ai suoi trattati De legibus e De Republica. Quasi
anticipando le tematiche del giusnaturalismo medievale, Cicerone si richiama ad
una vera legge, la retta ragione conforme alla natura, diffusa tra tutti,
costante ed terna a cui non è lecito apportare modifiche né togliere alcunché
né annullarla in blocco e che governerà tutti i popoli in ogni tempo. In
Cicerone sono rinvenibili degli istituti giuridici, seppur a livello
embrionale, particolarmente significativi a proposito di una concezione universale
di certi diritti fondamentali dell’uomo, dai quali si deduce la loro spettanza
a prescindere dalla cittadinanza o dall’appartenenza a particolari etnie e
caste; si tratterebbero di diritti legati all’uomo in quanto tale e non dedotti
giuridicamente da un’autorità statuale. A questa concezione di tali diritti si
riferisce l’insieme dei doveri che il diritto romano prevedeva anche ei confronti del nemico, le norme giuridiche
comuni ai romani e agli stranieri e che tutti dovevano rispettare. Inoltre vi
era lo ius gentium, ossia regole di
diritto generalmente riconosciute nelle legislazioni dei diversi stati. Da
ultimo, il diritto romano qualificava come “crimine” l’uccisione di ostaggi, la
promozione arbitraria della guerra e tutte le iniziative volte a trascinare in
guerra uno stato.
Il medioevo
In quest’epoca è possibile
rinvenire, a dispetto del pregiudizio che giudicatale periodo oscuro, tracce di
tutele giuridiche in senso moderno. Infatti una prima garanzia dei diritti
fondamentali venne attuata giuridicamente a livello di diritto privato,
fenomeno dovuto proprio alla frammentazione politica localistica tipica
dell’epoca. Lo scontro, a volte aspro e cruento, tra autorità locali e soggetti
di diritto favorì la nascita e l’acquisizione di diritti essenziali con
conseguente protezione da parte dell’autorità. Questi diritti erano: diritto
alla vita e alla integrità fisica, il diritto a non essere percosso ed ucciso,
il diritto a non essere preso senza una causa legale, il diritto di scegliere
il domicilio, di allontanarsi dalla dimora abituale senza difficoltà, il
diritto a formare una famiglia, il diritto a non essere privato illegalmente
delle cose legittimamente possedute. Tali diritti in un primo momento furono
rutto di accordi tra l’autorità e particolari soggetti privati e gruppi, poi
furono estesi a livello generale. Questo passaggio dal diritto privato al
diritto pubblico segnò una tappa fondamentale nel riconoscimento e nella tutela
dei diritti dell’uomo , ponendo le basi per le moderne dichiarazioni. A questo
proposito è il riferimento alla Magna
Charta del 1225, con cui Enrico III si rivolgeva al clero, ai nobili e a
tutti gli uomini liberi del Regno, anche se di fatto solo i diritti dei nobili
e del clero venivano effettivamente tutelati. In ogni caso si trattò di una
dichiarazione di principio secondo la quale nessun uomo libero poteva essere
arrestato, spogliato dei beni e della libertà, esiliato, senza giusta causa; il
re si impegnava a far rispettare tali diritti. Su questa base, sempre in Inghilterra
si avrà, secoli dopo, il Bill of rights sulla
difesa dei diritti del Parlamento con contestuale limitazione dei diritti del
Re (1689). Su questa scia vennero sanciti ulteriori diritti: libertà nelle
elezioni, libertà di parola e di discussione, libertà di procedura in
Parlamento, diritto di petizione dei cittadini al Re; l’Inghilterra si pose
nell’agone internazionale come patria dei diritti.
Le Dichiarazioni americana e
francese
Nel 1789 si giunse al modello
normativo più significativo: la Dichiarazione
dei diritti dell’uomo e del cittadino, approvata dall’Assemblea costituente
francese. Con essa si ebbe una formulazione generale sui diritti che mai era
stata raggiunta in precedenza, collocandosi così quale antesignana più diretta
della Dichiarazione universale del 1948. Forti sono i legami della
Dichiarazione francese con quella americana e ciò è significativo perché nel
1700 in due continenti diversi il costituzionalismo non ha potuto prescindere
dalla centralità dei diritti dell’individuo, segno evidente di una maturazione
ormai raggiunta nel pensiero umano. Nella Dichiarazione americana del 1776 vi
sono tutta una serie di principi e diritti che sorprendono per la loro
attualità: si richiamano i concetti di godimento della vita, di felicità, di
sicurezza, di benessere in generale, del diritto di proprietà. Inserendo tali
diritti direttamente nel testo costituzionale vi fu una precisa scelta di
direzione della precettività, o in ogni caso della pregnanza giuridica, dei
diritti enucleati.
Nuovi orientamenti.
Ritornando al cardine
dell’interpretazione di Bobbio, indubbiamente il fatto del consenso ha un
grande rilievo sotto il profilo sia politico sia giuridico. Ma sotto l’aspetto
più propriamente filosofico il fondamento fattuale del consenso, di tipo
evidentemente storico e come tale non assoluto, non esclude di per sé la
riflessione intorno ad ulteriori fondamenti di ordine metastorico, potendosi
ipotizzare una complementarietà tra fondamenti storico-fattuali e fondamenti
assoluti, la ricerca dei quali però non deve comportare divisioni e
incomprensioni di ordine teorico e con una ricaduta sotto il profilo giuridico.
Né tanto meno può comportare un’attenuazione nella tensione verso una sempre
maggiore efficacia nella difesa dei diritti enucleati. È noto che in linea
astratta un fondamento giusnaturalistico ne teorizza una difesa assoluta,
ritenendoli invalicabili. Invece, secondo un’impostazione giuspositivistica
anche gli stessi diritti umani sono pur sempre di derivazione statuale e
derivanti dalla autonoma volontà dello stato di autolimitarsi; per cui
rimarrebbero pur sempre astrattamente disponibili; mentre sostanzialmente nella
stessa logica si porrebbero le teorie contrattualistiche, che basano i diritti
in questione sul “patto” fra le forze politiche e sociali definito con la
Costituzione.
In realtà, occorre trascendere
dai fondamenti rigidamente teorici e impegnarsi perché prosegua il processo di
protezione giuridica. Infatti, in ambito costituzionale interno si è passati in
modo pressoché diffuso, nelle carte fondamentali della seconda metà del
ventesimo secolo, dalla tradizione francese, che riteneva sufficiente per la
protezione dei diritti la separazione dei poteri, l’autonomia dell’ordine
giudiziario e la partecipazione dei cittadini mediante l’elezione dei
rappresentanti, a quella americana che privilegia un sistema costituzionale
rigido, modificabile solo mediante procedure aggravate, volto a garantire i
diritti dei cittadini dai rischi di un’eventuale dispotismo della maggioranza parlamentare. Ciò che più conta è il non arrestare il
processo di universalizzazione dei diritti umani; un’universalizzazione
complessa, da considerare sotto una molteplicità di aspetti: il consenso
generalizzato, la dimensione planetaria dei destinatari, la tendenza
contenutistica a ricomprendere tutti i diritti che possano essere ricondotti
alla sfera essenziale della persona.
Al di là delle singole
impostazioni teoretiche sul fondamento dei diritti umani, in realtà, l’universalizzazione di tali diritti
rappresenta di per sé un “valore” e non può non rappresentarlo per tutti. Guardando
agli ultimi secoli, infatti, si può constatare come l’universalismo dei diritti
dell’uomo sia passato dalle opere dei filosofi, in particolare dal
giusnaturalismo moderno, attraverso i primi riconoscimenti nei diritti positivi
di singoli paesi (a cominciare dalle Dichiarazioni dei diritti degli stati
americani e dalla Dichiarazione francese del 1789), fino all’attuale diritto
positivo internazionale a tendenza universalistica, il cui punto di partenza è
rappresentato proprio dalla Dichiarazione universale del 1948. In tal contesto
possiamo azzardare che i tanto conclamati sviluppi della odierna
globalizzazione siano stati anticipati da oltre mezzo secolo dalla
Dichiarazione universale dei diritti umani. Alla base, difatti, della Dichiarazione vi è
il convincimento diffuso che per la promozione e la salvaguardia dei diritti
umani l’azione individuale e autonoma dei singoli stati non possa ritenersi
bastevole, sia per la limitatezza degli strumenti cui si ancorano le isolate
sovranità nazionali, sia a causa della dimensione raggiunta dagli interessi
umani, che si caratterizzano sempre più per la tendenza a trascendere gli
ambiti delle singole statualità.
Ha ragione, quindi, chi ha
sostenuto che la Dichiarazione universale del 1948 è solo l’inizio di un lungo
processo di cui non siamo in grado di vedere ancora l’attuazione finale, ma ciò
che la Dichiarazione contiene in germe, e che può rappresentare la meta
giuridico-filosofica dei diritti umani, potrebbe essere la ricostruzione
dell’unità del genere umano. Anzi, proprio l’indispensabile dimensione
planetaria dei diritti umani, le cui garanzie possono essere riconosciuti, pone
l’esigenza pratica di accantonare le contrapposizioni ideologiche derivanti
dall’appartenenza a scuole filosofiche diverse in vista di un sommo bene
comune, ossia nell’unificazione dei diritti umani, nella loro enumerazione e
nella loro organizzazione concreta. Tale prassi richiede una trasformazione di
queste culture morali preesistenti, che debbono essere capaci di parlare
all’uomo del nostro tempo.
Piuttosto, la questione
nevralgica di fondo sembra spostarsi dall’iniziale contrapposizione della
doppia fonte, se quella indicata dai giusnaturalismi nella natura umana, oppure
quella dei giuspositivisti nella sovranità autonoma degli stati, alla più
attuale contrapposizione tra la vigenza costituzionale dei diritti degli umani,
in quanto riconosciuti dagli stati nelle loro carte fondamentali, e il valore
supercostituzionale degli stessi, ossia preesistenti alla costituzione e
pertanto assoluti. In quest’ottica tali diritti hanno una validità assoluta,
vanno riconosciuti nelle singole Costituzioni e, una volta diventati pubblici mediante tale riconoscimento,
assumono anche una portata meta-costituzionale, nel senso che sarebbero
sottratti ai procedimenti di revisione costituzionale. Si tratta di una
speciale forma di protezione sostanziale, i cui tratti sono rinvenibili nella
stessa giurisprudenza della Corte costituzionale italiana[1].
Il post-modernismo.
Vi è una recente impostazione, in
chiave politica, volta a rilanciare i principi tradizionali del liberalismo
nell’ottica della tutela dei diritti umani. Infatti, secondo questa teoria, le
idee-guida di una società pluralista e di un’economia di mercato competitiva,
l’etica dell’individualità e della responsabilità personale, il relativismo
etico, il principio di tolleranza, le pari opportunità e in genere i cardini
del liberalismo sarebbero particolarmente idonei nelle società della
modernizzazione post-industriale e della mondializzazione per garantire i
diritti universali dell’individuo. In questo contesto l’etica dei diritti
finisce per connotarsi come una sorta di etica minima comune, che può
consentire il libero dispiegarsi delle diversità morali. Di fatto si constata
storicamente che i sistemi politici di tipo liberal-democratico occidentale
sembrano aver dimostrato una maggior rispondenza alle esigenze della tutela dei
diritti umani.
Conclusioni.
Concludiamo questa breve
dissertazione sul fondamento dei diritti dell’uomo con un pensiero del filosofo
del diritto Italo Mancini: “i diritti
dell’uomo rappresentano il portento dell’età moderna come il diritto naturale
lo è stato per l’età classica; un portento che ha contribuito a creare quella
civiltà del diritto, in cui si deve porre il contributo fondamentale per il
costituirsi della cultura e del sentire comune dell’Occidente”. Proprio il
diritto internazionale ha mostrato che attualmente diritti naturali, diritti
umani e diritti positivisticamente protetti tendono a coincidere, unificando di
fatto le contrapposte teorie del giusnaturalismo e del positivismo giuridico
venendo così a rendere superflua la problematica del fondamento di tali
diritti.