venerdì 3 gennaio 2014

L'obbligo della verità

Quando eravamo bambini il problema della verità non era un problema. Bisognava dire la verità e non dire bugie. “Di la verità!”: ed era chiaro ciò che si voleva dire. Le difficoltà erano eventualmente nel rispettare queste regole, nell’evitare l’ambiguità, nell’essere coerenti, ma non nella comprensione di ciò che le regole volevano dire. Poi siamo cresciuti e il problema della verità è diventato effettivamente un problema. La verità non era così univoca e certa come prima credevamo: ciò che appariva vero a me non era considerato tale ad altri, anzi si arrivava al caso limite che certe realtà o considerazioni che a qualcuno sembravano inoppugnabili, per altre erano false e fuorvianti. Alla base di questa  situazione c’è la considerazione che tutti gli uomini sono influenzati dalla propria educazione, dalla propria cultura, dalle proprie scelte ideologiche e tutto questo influenza la percezione della verità. Ne deriva la tentazione di un assoluto relativismo della verità: non esiste una verità assoluta, ma esistono tante verità e ciascuno assume come verità quella che a lui sembra tale. La domanda di Pilato risulta quanto mai attuale “Quod est veritas?”. Questa scelta è ulteriormente rafforzata dalla coscienza che la verità cresce con il tempo e muta anche con il tempo a seguito delle conquiste scientifiche e della riflessione filosofica ed antropologica. In questo relativismo si fa sola eccezione, ma non sempre, per la verità dei fatti, quelli che sembrano inoppugnabili: io oggi sono a Pescara, ho fatto colazione ora sto scrivendo questo articolo… e per queste verità dei fatti esiste la menzogna: se tu dici che io non ero a Pescara, che non ho fatto colazione e che non ho scritto nulla, dici una bugia. Se neghi che la guerra è violenza, che non esiste la povertà nel mondo e che non c‘è nessun problema ambientale, neghi la verità. Ma appena il discorso passa dai fatti alla loro interpretazione si riapre il dubbio sulla verità oggettiva e si legittimano interpretazioni diverse e anche opposte. Non sembra, per molti, esistere un’unica verità cui fare riferimento, cui cercare di obbedire, cui confermare la propria vita ma piuttosto dei valori soggettivi cui adeguare la propria coscienza, o anche, in modo meno nobile, delle convenienze personali. La domanda che a questo punto si pone è se esiste una verità assoluta e come sia riconoscibile e se essa vale per tutti gli uomini, di ogni tempo e luogo, al di là delle differenze di educazione e di cultura, di religione e di politica.
Spesso si è abusato nel far passare come verità assolute affermazioni contingenti e particolari, anche se legittime. Ciò ha ovviamente contribuito a far torto alla verità. Esistono, inoltre, delle verità nell’ordine dei fatti che non possono essere negate se non con la menzogna. Vi è un dovere nel ricercare la verità oggettiva e di darle testimonianza. Utilizzare il relativismo per giustificare la propria pigrizia nella ricerca del vero è un peccato contro l’onestà. Tutto questo, però, con spirito di grande umiltà. Gesù disse: “Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi”. Bisogna ricercare queste parole di verità avvertendo che questa verità deve essere al servizio dell’uomo, non come una teoria assoluta che si muove solo nello spazio dell’intelligenza, ma come una risposta che coinvolge il cuore dell’uomo e ne determina l’azione.

La domanda che da bambini non ci ponevamo è venuta crescendo e complicandosi con la vita; in Gesù avviene la saldatura fra verità e amore, tra fede e amore e questo apre lo spazio alla speranza (cfr 1Cor 13). La Verità è nell’Amore e questo illumina anche i comportamenti di convivenza fra gli uomini e le donne. L’Amore è la Verità assoluta e Cristo lo ha testimoniato sempre.

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