Quando eravamo bambini il
problema della verità non era un problema. Bisognava dire la verità e non dire
bugie. “Di la verità!”: ed era chiaro ciò che si voleva dire. Le difficoltà
erano eventualmente nel rispettare queste regole, nell’evitare l’ambiguità,
nell’essere coerenti, ma non nella comprensione di ciò che le regole volevano
dire. Poi siamo cresciuti e il problema della verità è diventato effettivamente
un problema. La verità non era così univoca e certa come prima credevamo: ciò
che appariva vero a me non era considerato tale ad altri, anzi si arrivava al
caso limite che certe realtà o considerazioni che a qualcuno sembravano
inoppugnabili, per altre erano false e fuorvianti. Alla base di questa situazione c’è la considerazione che tutti
gli uomini sono influenzati dalla propria educazione, dalla propria cultura,
dalle proprie scelte ideologiche e tutto questo influenza la percezione della
verità. Ne deriva la tentazione di un assoluto relativismo della verità: non
esiste una verità assoluta, ma esistono tante verità e ciascuno assume come
verità quella che a lui sembra tale. La domanda di Pilato risulta quanto mai
attuale “Quod est veritas?”. Questa scelta è ulteriormente rafforzata dalla
coscienza che la verità cresce con il tempo e muta anche con il tempo a seguito
delle conquiste scientifiche e della riflessione filosofica ed antropologica. In
questo relativismo si fa sola eccezione, ma non sempre, per la verità dei
fatti, quelli che sembrano inoppugnabili: io oggi sono a Pescara, ho fatto
colazione ora sto scrivendo questo articolo… e per queste verità dei fatti
esiste la menzogna: se tu dici che io non ero a Pescara, che non ho fatto
colazione e che non ho scritto nulla, dici una bugia. Se neghi che la guerra è
violenza, che non esiste la povertà nel mondo e che non c‘è nessun problema
ambientale, neghi la verità. Ma appena il discorso passa dai fatti alla loro
interpretazione si riapre il dubbio sulla verità oggettiva e si legittimano
interpretazioni diverse e anche opposte. Non sembra, per molti, esistere un’unica
verità cui fare riferimento, cui cercare di obbedire, cui confermare la propria
vita ma piuttosto dei valori soggettivi cui adeguare la propria coscienza, o
anche, in modo meno nobile, delle convenienze personali. La domanda che a
questo punto si pone è se esiste una verità assoluta e come sia riconoscibile e
se essa vale per tutti gli uomini, di ogni tempo e luogo, al di là delle
differenze di educazione e di cultura, di religione e di politica.
Spesso si è abusato nel far passare
come verità assolute affermazioni contingenti e particolari, anche se
legittime. Ciò ha ovviamente contribuito a far torto alla verità. Esistono,
inoltre, delle verità nell’ordine dei fatti che non possono essere negate se
non con la menzogna. Vi è un dovere nel ricercare la verità oggettiva e di
darle testimonianza. Utilizzare il relativismo per giustificare la propria pigrizia
nella ricerca del vero è un peccato contro l’onestà. Tutto questo, però, con
spirito di grande umiltà. Gesù disse: “Conoscerete la verità e la verità vi
farà liberi”. Bisogna ricercare queste parole di verità avvertendo che questa
verità deve essere al servizio dell’uomo, non come una teoria assoluta che si
muove solo nello spazio dell’intelligenza, ma come una risposta che coinvolge
il cuore dell’uomo e ne determina l’azione.
La domanda che da bambini non ci
ponevamo è venuta crescendo e complicandosi con la vita; in Gesù avviene la
saldatura fra verità e amore, tra fede e amore e questo apre lo spazio alla
speranza (cfr 1Cor 13). La Verità è nell’Amore e questo illumina anche i
comportamenti di convivenza fra gli uomini e le donne. L’Amore è la Verità assoluta
e Cristo lo ha testimoniato sempre.
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