sabato 10 dicembre 2011

La gnosi.                        


    Abbiamo accennato alla possibilità che infiltrazioni gnostiche si siano verificate all’interno del corpus delle scritture cristiane. Ma chi erano gli gnostici e in cosa credevano? È possibile far risalire le origini dello gnosticismo al periodo ellenistico quando il pensiero filosofico greco entrò in contatto con la cultura orientale. Dalle religioni orientali lo gnosticismo trasse il proprio dualismo mondo/Dio, anima/corpo, origine del bene e del male, redenzione e immortalità, mentre dalla filosofia greca ereditò la serie di mediatori tra Dio e l’uomo, il valore dell’individuo e il dovere morale.
    La lingua greca possiede molti vocaboli con cui indicare l’atto del conoscere ed opera anche una distinzione tra la conoscenza acquisita tramite procedimenti razionali e quella che perviene dall’esperienza o dalla visione. La  parola γνωσις (gnosi) deriva dal verbo γινώσκω che, secondo Il Dizionario dei Concetti Biblici del Nuovo Testamento, “indica nel greco profano in primo luogo l’osservazione, la conoscenza, il riconoscimento mediante i sensi, specialmente quello della vista, di una persona o di un oggetto attraverso cui si perviene ad inquadrare intellettivamente la cosa conosciuta nel mondo dell’esperienza (sperimentare, apprendere, venire a conoscere) e cioè: l’oggetto conosciuto diventa (nuovamente) familiare al soggetto conoscente. In tal modo è già data una differenza di significato, per quel che si riferisce all’uso linguistico più tardo, che non necessariamente conduce alla comprensione intellettiva. Come il verbo, anche il sostantivo γνωσις (attestato fin da Eraclito) indica in primo luogo l’atto del conoscere”[1]. Sempre riferendosi all’unità semantica del verbo greco per “conoscenza”, il Dizionario prosegue: “Perciò sarebbe più adeguato tradurre con prender visione, acquisire un determinato punto di vista, espressioni che possono riguardare anche conoscenze appartenenti alla sfera religiosa propriamente detta”[2].
a) Origine.
    Nel mondo greco del periodo ellenistico si assiste ad un progressivo abbandono delle filosofie classiche a causa di un serpeggiante scetticismo e dirompente pessimismo nella capacità della filosofia di giungere a dare risposte certe alle ataviche questioni sollevate dall’animo umano. Le grandi costruzioni filosofiche operate da Platone ed Aristotele non vengono adeguatamente composte dalle scuole che a questi due maestri si riferiscono, limitandosi a dare vita a contrastanti dottrine le quali ponevano più domande delle risposte date. Per gli Eleati, i Fisici e i presocratici l’άρχή, ossia il principio di tutto l’esistente, era da ricercarsi negli elementi (acqua, aria, terra e fuoco) mentre per gli Atomisti tutto era riconducibile alla sola natura senza necessità di ricercare un principio trascendente. Socrate, comprendendo l’impossibilità di giungere ad una soluzione unificante le varie opinioni, preferì indagare l’oggetto (si passi il termine) che meglio poteva essere esaminato: se stesso. I Sofisti, dal canto loro, distorcendo il principio socratico dell’ironia, ridussero la filosofia a capacità dialettica. Anche la fulminea conquista dell’impero da parte di Alessandro Magno e l’altrettanto sua fulminea disgregazione alla sua morte sottolineò il carattere effimero delle azioni umane. Tutto questo valse ad ingenerare sfiducia nella capacità dell’uomo di giungere per via razionale alla conoscenza della realtà. Si ebbe così un cambiamento nel metodo conoscitivo e a percepire il mondo, inteso non più come ordine e perfettamente conoscibile nelle sue leggi, come un destino più da subire che da guidare.
    La visione del mondo che la gnosi riteneva era improntata ad un rigoroso pessimismo per cui la creazione veniva estremamente separata dalla divinità al punto da credere che il creato avesse avuto inizio da un demiurgo cattivo. L’uomo si trova nella condizione di prigioniero di questo mondo cattivo e del suo stesso corpo, idea presente già in Platone, in una sorta di esilio vissuto con drammaticità ma grazie alla giusta conoscenza potrà riscattarsi e assurgere alla libertà e alla immortalità. Necessita allora all’uomo una via di scampo, una liberazione da questa condizione servile. Ma se le filosofie classiche sono nell’impossibilità di aiutare l’uomo in questa ricerca, dove bisogna rivolgersi? Occorre una nuova conoscenza, un innovativo modo di relazionarsi con la realtà e questo rivoluzionario modo è appunto la gnosi. Non si tratta di un metodo conoscitivo da porre accanto a quelli già esistenti ma di un diverso approccio alla realtà. Lo gnostico non cerca una conoscenza con i metodi razionali ma qualcosa che trascende la ragione, non opposta all’intelletto ma che aiuti questo a trovare le risposte più autentiche.
b) gnosi precristiana.
    Da un punto di vista sia storico che dottrinale occorre operare una distinzione tra uno gnosticismo precristiano e uno cristiano; spartiacque tra le due correnti è la presenza della persona di Gesù Cristo all’interno del proprio sistema di pensiero. In tutte le civiltà superiori la ricerca di un sapere che rispondesse alle profonde aspirazioni dell’uomo ha dato luogo a tutta una serie di idee e concetti che poi trasmigrarono nelle varie culture apportando modificazioni e ampliando concezioni ad esse proprie. Tuttavia nel procedimento conoscitivo tipico della gnosi, pur nelle varie differenze e correnti di pensiero, è possibile ravvisare elementi comuni. La gnosi non si propone di raggiungere una conoscenza fine a se stessa ma  pone in essa una valenza soteriologica, indagando l’uomo e il suo destino finale. Il fine antropologico e soteriologico è il punto di partenza di ogni vera gnosi la quale si caratterizza come un atteggiamento totalizzante, religioso, coinvolgendo tutte le facoltà dell’uomo e non solamente l’intelletto. Questa conoscenza rende l’uomo perfetto perché gli dona la salvezza. Per accedervi la gnosi si avvale di tutte le discipline umane: dalla mitologia all’apocalittica, dalla cosmogonia all’astronomia, dalle scienze naturali alla storia. Dunque la gnosi si caratterizza per essere onnicomprensiva, presentandosi simultaneamente come filosofica, religiosa, etica, storica, antropologica. Per giungere a questa conoscenza la gnosi non rifugge il patteggiamento mistico. Viene accentuato, così, il ricorso a maestri, fondatori di correnti, ritenuti illuminati e portatori di un messaggio salvifico. Infatti per giungere alla retta conoscenza necessita una rivelazione divina e il veicolo di essa non è la filosofia, trovata mancante proprio nella sua funzione più pura ossia indagare le cause prime e trasmettere il sapere certo, ma nel mito e nella magia, operando una netta separazione tra il mondo e il divino. È bene ricordare come per la mentalità greca era difficile accettare una divinità che fosse immanente al creato; il “deus non miscetur hominibus” era la massima dei filosofi quando occorreva dissertare sulle realtà trascendenti.  Già Platone aveva rivalutato il mito come utile strumento conoscitivo lì dove l’intelletto trova arduo procedere per la sola via razionale. Per questo la gnosi come prima tappa del suo procedere verso la vera conoscenza pone al centro l’uomo che deve giungere alla conoscenza di sé. Anche questo concetto è caro alla filosofia greca: γνωθι σαυτόν (conosci te stesso) era l’iscrizione sul portale dell’oracolo di Delfi che esortava ad intraprendere l’arduo viaggio della conoscenza di se stessi. Il neofita apprende che il cosmo, lungi dall’essere una realtà preordinata e governata da leggi intelligibili, è vittima di una frattura che ne ha distorto la bellezza e l’ordine: il κόσμος di Talete non è più quell’ornamento perfetto che tanto affascinava le menti e gli spiriti sia eccelsi che umili.
    Lo gnostico apprende anche, per usare le parole di un grande studioso antico del fenomeno della gnosi, “Chi siamo e cosa siamo divenuti; donde veniamo e dove andiamo a finire; dove corriamo e donde siamo redenti, che cosa attiene alla nostra nascita e cosa alla nostra rigenerazione”[3]. La gnosi comprende, dunque, anche una conoscenza dell’universo, una cosmogonia che spieghi il dualismo presenti nel cosmo. La caduta dell’uomo è spiegata ricorrendo al mito dell’anima imprigionata nel corpo a seguito di una colpa primordiale. Anche qui sono ravvisabili influssi platonici. Conseguenza di questa caduta è l’innato senso di nostalgia che reca in sé il bisogno di redenzione. Questo desiderio di redenzione diventa operativo allorché la nostalgia del cielo cede il passo al bisogno di conoscenza del trascendente. Lo gnostico deve apprendere perché si sente fuori posto nel mondo, per usare un linguaggio caro all’autore della lettera agli Ebrei “di essere stranieri e pellegrini sopra la terra” (Eb 11,13); deve conoscere la vera realtà del cosmo, della divinità e della materia che si oppone a Dio. Chi intraprende questo viaggio nella vera conoscenza, intesa come rivelazione divina, diviene gnostico e sperimenta già la redenzione. Le visioni, le estasi e le rivelazioni manifestano come la redenzione è all’opera nell’anima dello gnostico. Afferma il Corpus Hermeticum, una raccolta di scritti gnostici del I e II secolo d.C. e attribuiti ad Ermete Trsismegisto “Chi è pervenuto alla gnosi è buono e pio, anzi già divino”[4].
    Condizione imprescindibile però è una previa purificazione dell’uomo che desidera questa conoscenza. Essa va partecipata di modo che ogni gnostico diviene profeta, apostolo (la concezione di apostolo propria di Paolo). L’atteggiamento di vita conseguente si esplicita su due binari opposti: eccesso di ascesi da un lato, per liberare dalla materia la scintilla divina, ed eccesso di libertinaggio dall’altro come conseguenza del non appartenere a questo mondo da parte dello gnostico. Entrambi gli atteggiamenti però, comportano un ritenersi un essere superiore.
    Per comunicare i propri contenuti la gnosi utilizza non un linguaggio scientifico, proprio di ogni teologia, ma si appropria del simbolismo, della lirica, della poesia e questo le consente di far presa sulle masse e di porsi quale concorrente del cristianesimo.
c) gnosi cristiana.
    Dato il suo carattere profondamente pervasivo del mondo antico neanche l’universo culturale biblico, sia nella sua accezione giudaica che cristiana, fu scevro da influssi e contaminazioni gnostiche. Lo stesso Paolo venne ritenuto da uno dei più attivi maestri gnostici, Marcione, “l’unica autorità apostolica riconosciuta, il solo maestro del proprio pensiero”[5]. La gnosi giudaica si innesta nell’alveo della tradizione biblica: la sapienza appartiene a Dio che la comunica a dei prescelti. Mosè, i profeti, i sapienti e gli apocalittici sono i mediatori di questa sapienza. Con Filone la gnosi subirà l’influsso della cultura greca, specialmente della filosofia platonica e medioplatonica. Questo influsso gnostico nella tradizione giudaica confluì nel cristianesimo, in particolar modo con Clemente Alessandrino e Origene, ma tutto venne riletto in ottica cristologica: “Oggetto specifico della gnosi-sapienza cristiana è appunto tutto questo mistero cristiano con tutte le sue implicazioni e conseguenze a tutti i livelli: ermeneutico (lettura negli scritti dell’Antico Testamento del preannuncio e prefigurazione dei magnalia Dei), storico, ontologico, umano e cosmologico; etico, mistico, operativo; individuale e sociale; attuale ed escatologico”[6]. In tal modo, per lo gnosticismo cristiano l’uomo è beato già in questa vita per merito della conoscenza salvifica ottenuta dall’illuminazione gnostica. La gnosi così unisce l’ideale filosofico greco, cioè l’amore per la sapienza, all’ideale cristiano ossia la vita in Cristo.
    Gli gnostici per spiegare la cattiveria del mondo, cattiveria intesa in senso ontologico, postulano un essere trascendente privo di volontà creatrice e dunque non responsabile dei mali che affliggono l’universo. La materia procede dalla divinità non per creazione ma per emanazione, concezione che ritroviamo nel neoplatonismo. Ogni cosa esistente possiede così una scintilla divina, analoga al concetto di semina verba proprio di Clemente Alessandrino, ma essa è prigioniera della materia la quale è una sembianza corrotta dell’essenza divina. La materia infatti è il risultato contaminato di quell’essenza divina promanata per emanazione. Per utilizzare una metafora cara ai Padri della Chiesa si può dire che la materia è la sostanza divina appesantita, ombrosa, che ha perso la sua purezza e lucentezza.
    Tra Dio e il cosmo la gnosi pone tutta una serie di Eoni, esseri divini intermedi. Gli Eoni e la divinità formano il Pleroma ove la potenza divina è pienamente attiva. Tutto ciò che esiste è dovuto all’azione di un demiurgo, emanato da Sofia, che ha creato tutto a sua immagine ma essendo imperfetto ha dato origine ad una creazione imperfetta. Comunque sia, nella creazione sono presenti le scintille dell’emanazione divina racchiuse nella materia. Compito della gnosi è di liberarle. Interessante notare come nel libro dei Proverbi si dice che Dio per creare abbia utilizzato la sua Sapienza, molto simile nelle caratteristiche alla Sofia gnostica[7].
    La lunga digressione sulla gnosi è stata premessa necessaria per meglio inquadrare il fenomeno complesso che costituì l’epoca in cui il movimento di Gesù vide la propria genesi. Idee simili ma provenienti da gruppi diversi circolavano e costituivano l’elemento comune nella cultura dell’epoca. Volenti o nolenti era impossibile non esserne condizionati. Anche negli scrittori del Nuovo Testamento e nei primi discepoli sia del Cristo che dei suoi seguaci queste idee fecero presa e in certa misura confluirono nella loro predicazione e nelle loro opere. Anche gli scrittori successivi ne furono coinvolti frapponendo concetti e dottrine ora contrastanti ma che all’epoca potevano convivere tranquillamente.
    Ad ogni modo, la presenza del pensiero di Paolo all’interno del sistema dottrinale gnostico non è tout court ma appare improntato ad una scelta di contenuti. Lo studioso di Paolo, Giuseppe Barbaglio afferma: “La recezione paolina vi appare selettiva, limitata ad alcuni, eppure importanti, temi della teologia paolina e deuteropaolina (Col-Ef), come la risurrezione a immagine di Cristo, uomo celeste antitetico all’Adamo terrestre; il battesimo inteso quale evento di morte e di nuova vita «spirituale»; l’elezione gratuita e predestinazionistica dei credenti; il motivo ecclesiologico del corpo, articolato in diverse membra, e del capo; il valore eminente della conoscenza sapienziale carismatica (gnosis) del mistero di Dio; il primato cosmico di Cristo; la critica alla legge mosaica. Soprattutto gli gnostici hanno piegato il pensiero di Paolo dentro il loro rigido sistema speculativo, ispirato principalmente a teorie filosofiche, ma anche a esperienze personali. A questo scopo hanno applicato di regola il criterio ermeneutico dell’interpretazione allegorica”[8].
    La rilettura di testi paolini operata dagli ambienti gnostici è sempre stata considerata come indebita e fonte di errori, anche sulla scia di eresiologi come Tertulliano ed Ireneo. In realtà abbiamo avuto modo di riflettere su come molti si fossero impadroniti del pensiero paolino, anche in ambito ortodosso e canonico, rimaneggiandolo e adattandolo all’immagine che dell’Apostolo si erano fatti. La scuola paolina presenta un Paolo ben diverso da quello degli Atti che a sua volta è differente da ciò che traspare dalle lettere autentiche. Gli gnostici hanno posto la loro immagine di Paolo accanto a queste altre già preesistenti.
    Nei primi due secoli la dottrina cristiana non era perfettamente definita ma era in fieri, ossia si andava delineando anche, oseremmo dire soprattutto, attraverso contrasti fra le varie correnti teologiche. Dottrine eterodosse convivevano accanto a posizioni consolidate e ormai facenti parte del depositum fidei. Lo gnosticismo viveva accanto a quella che era considerata la retta fede. Molti gnostici occupavano posti di rilievo all’interno della gerarchia ecclesiastica delle varie comunità. Anche non  pochi Padri della Chiesa condividevano alcune tesi gnostiche. Valentino fu uno dei maestri gnostici più importanti del II secolo. Nato ad Alessandria d’Egitto, si trasferì a Roma dove ebbe un ruolo influente nella chiesa di quella città. Si riteneva discepolo di Paolo attraverso Teuda. Lo stesso Marcione, che tanto fece soffrire la chiesa dei primi secoli, ebbe un ruolo nella chiesa di Roma ma ne fu espulso nel 144. Conosciamo l’opera e gli scritti di questo gnostico del II secolo attraverso le confutazioni di tre scrittori cristiani, Tertulliano, Epifanio e Ireneo, i quali scrissero rispettivamente l’Adversus Marcionem, il Panarion e l’Adversus Haereses. È ovvio che le testimonianze di questi Padri della Chiesa siano di parte, emergendo da un confronto polemico con le dottrine di quello che consideravano un acerrimo nemico. E nemico pericoloso era davvero perché Marcione non si limitò a propagandare dottrine diverse da quelle professate dai cristiani ma si propose, riuscendoci, di rifondare il cristianesimo purificandolo da ciò che, secondo il suo intendimento, era una corruzione giudaica. Si adoperò per formare un movimento che rapidamente crebbe e divenne concorrente al cristianesimo. Marcione creò anche un suo canone biblico rigettando in toto l’Antico Testamento e mutilando il Nuovo. Eliminò tutti i Vangeli tranne Luca, ritenuto discepolo di Paolo anzi uno pseudonimo di Paolo stesso, e accettando solo dieci delle lettere paoline e precisamente Galati, 1-2 Corinzi, Romani, 1-2 Tessalonicesi, Efesini (che chiamò Laodicesi), Colossesi, Filippesi e Filemone. Da questo corpus di scritti rimosse tutto ciò che non si adattava con la sua visione teologica. Al canone biblico così riformato aggiunse come premessa la sua opera Antitesi ove esponeva il suo pensiero. Marcione portò alle estreme conseguenze l’opposizione paolina tra fede e Legge rigettando completamente l’AT considerato superfluo e voluto da un demiurgo cattivo che niente aveva a che fare con il Dio di Cristo. Estremizzò anche il contrasto tra Paolo e gli altri apostoli fino a respingere gran parte del Nuovo Testamento.
    Senza entrare nel merito della lotta sostenuta dalla Chiesa del II secolo contro Marcione e i suoi discepoli, possiamo dire che questi, prendendo spunto dalle tesi paoline, radicalizzò a tal punto il messaggio dell’Apostolo estremizzando punti controversi della teologia paolina quali l’antitesi fede/legge, anima/corpo, creazione/redenzione, il pessimismo antropologico caratteristica di Paolo. Egli giungerà a negare la risurrezione e a vedere nella creazione l’opera di un demiurgo cattivo. La sua influenza fu tale che per un periodo di tempo la Chiesa preferì sminuire il ruolo di Paolo nella formazione della teologia cristiana.
    Verso la fine del II secolo lo scontro tra gnosticismo e cristianesimo si fece cruento. La lotta contro lo gnosticismo contribuì alla formulazione della dottrina cattolica e del canone biblico. Man mano che la Chiesa si politicizzava la lotta contro la gnosi si fece più dura finché nei secoli IV-V  essa fu relegata nell’oblio; gli appartenenti all’eresia vennero condannati e dispersi e i loro libri bruciati.
    d) Nag Hammadi.
    Per secoli l’unica fonte di informazione sugli gnostici e i loro scritti furono le opere dei Padri della Chiesa che si occuparono di loro come appunto Ireneo, Tertulliano, Ippolito. Almeno fino al 1945 anno in cui, in modo fortunoso, furono rinvenuti dei manoscritti conosciuti come i papiri di Nag Hammadi. Si trattava di 13 papiri contenenti 52 testi molti dei quali conosciuti solo dalle opere degli eresiologi.
    Questi 13 papiri furono ritrovati in una giara di terracotta presso un monastero pacomiano. I testi contenuti nei codici sono per la maggior parte scritti gnostici, ma includono anche tre opere appartenenti al Corpus Hermeticum ed una parziale traduzione della Repubblica di Platone. Questi codici appartenevano alla biblioteca del monastero e i monaci li nascosero per preservarli dalla distruzione quando lo gnosticismo venne considerato eresia. I testi sono scritti in copto ma la lingua originale in cui furono composti è il greco. L'opera più importante presente in essi è il Vangelo di Tommaso del quale, quello presente nei codici, è l'unico testo completo noto. Grazie a questa scoperta gli studiosi ritrovarono tracce dei testi nelle citazioni degli scritti dei Padri della Chiesa. I contenuti delineano alcune rivelazioni esoteriche su un cristianesimo periferico, lontano dai centri di discussione teologica. La datazione dei manoscritti risale al III e IV secolo d.C. mentre per i testi greci originali, benché ancora controversa, è generalmente accettata una datazione intorno al I e II secolo d.C. Ireneo, che scrisse intorno al 180 e Ippolito, il quale scrisse una cinquantina di anni dopo, ne menzionano diversi e sicuramente ne hanno letti alcuni come base per le loro confutazioni dunque gli originali erano già in circolazione in quel tempo. Anche Epifanio ed Origene accennano a queste opere. Vi è qualche studioso, come il professor Helmut Koester, che ritengono possano essere addirittura contemporanei ai Vangeli canonici. In questi documenti dai nomi misteriosi ed esoterici è ravvisabile un linguaggio cristiano che affonda le proprie radici in tradizioni ebraiche, lo stesso sostrato culturale dei Vangeli canonici. Essi però si pongono come custodi di un messaggio celato ai molti e comprensibili solo agli eletti. Neanche questo deve stupire: nel primo cristianesimo era vigente la rigida disciplina dell’arcano ossia i misteri cristiani non potevano essere rivelati a tutti ma erano conoscibili ai neofiti solo dopo un lungo percorso di iniziazione detto catecumenato.
    A titolo esemplificativo riportiamo l’elenco delle opere rinvenute:
       Codice I (detto anche Codice Jung)
*   Codice II
*   Codice III
*   Codice IV
*   Codice V
*   Codice VI
*   - Il Tuono
*   Codice VII
*   Codice VIII
*   - Zostriano
*   Codice IX
*   - Melchisedek
*   Codice X
*   - Marsanes
*   Codice XI
*   - Hypsiphrone
*   Codice XII
*   - Frammenti non identificati
*   Codice XIII
    Questo copioso filone letterario consente di illuminare un periodo del primo cristianesimo conosciuto solo dalle opere di insigni teologi che, pur nelle loro esposizioni particolareggiate, restano comunque di parte. Si affaccia così agli studiosi una corrente non antagonista ma alternativa a quella che diventerà solo in seguito, è bene ribadirlo, il cristianesimo ufficiale. Abbiamo visto come Padri della Chiesa condividessero teorie successivamente giudicate errate e molta terminologia gnostica confluiva nelle loro opere. Alcuni dei testi ritrovati vengono presentati come vangeli e attribuiti a discepoli di Gesù. In realtà si discostano dallo stile tipico del vangelo somigliando di più ad una collezione di detti sapienziali analoghi a quelli ravvisabili all’interno dei vangeli canonici. Per questo gli studiosi ritengono che questi scritti riflettano tradizioni più antiche e contemporanee alle tradizioni su Gesù e che confluiranno nei testi biblici.



[1] Dizionario dei Concetti Biblici del Nuovo Testamento, op. cit. voce, Conoscenza pag. 337.
[2] Op. cit., pag. 338.
[3] Clemente Alessandrino, Excerpta ex Theodoto, 78,2.
[4] Corpus Hermeticum X,9.
[5] G. Barbaglio, op. cit., pag. 358.
[6] Nuovo Dizionario di Teologia, op. cit., pag., 1562.
[7] Cfr. Prov. 8.
[8] G. Barbaglio, op. cit., pagg. 367-368.

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