Il cap. 25 del Levitico, dopo le prescrizioni relative
all’anno sabatico, così ordina: “Conterai pure sette
settimane d'anni: sette volte sette anni; e queste sette settimane d'anni ti
faranno un periodo di quarantanove anni. Poi,
il decimo giorno del settimo mese farai squillar la tromba; il giorno delle
espiazioni farete squillar la tromba per tutto il paese. E santificherete il
cinquantesimo anno, e proclamerete l'affrancamento nel paese per tutti i suoi
abitanti. Sarà per voi un giubileo; ognun di voi tornerà nella sua proprietà, e
ognun di voi tornerà nella sua famiglia”. La chiamata giubilare non era una
chiamata al culto o perlomeno non lo è nell’accezione precisa del termine,
perché le prescrizioni di Lev. 25 non comportano sacrifici. Ma poiché per
l’ebreo ogni precetto eseguito è culto, si può dire che per Israele l’anno del
giubileo è il più grande culto. La sua fondazione religiosa è il sabato, che
attraverso il ritmo settenario determina l’anno sabbatico e, quindi, il giubileo
quale conclusione di sette cicli sabbatici: ciò vuol dire che, come nel sabato,
l’uomo deve sospendere il proprio dominio sul mondo e deve restituirlo a Dio,
riconoscendosi ospite di Dio nella terra di Dio. Qui appare la funzione sociale
del giubileo: se in esso l’uomo cessa di considerarsi creatore e padrone,
cessano anche i debiti e le servitù, i crediti ed i diritti acquisiti. Gli
schiavi ebrei tornano liberi, come nell’anno sabbatico, i debiti decadono, i
campi e le case vendute tornano ai
primitivi proprietari, perché non si formino accumuli di ricchezza e perciò di
potere, e la terra di Israele conservi l’antico catasto stabilito da Mosè e
Giosuè. L’intero paese vive questo anno di libertà: i poderi non arati e non seminati
restano, come gli abitanti, esposti alla grazia di Dio; ognuno è come il primo
uomo dell’Eden ma anche come un bambino che riceve. Non bisogna vedere in
queste immagini una condanna del fare, del lavorare per produrre beni, del
possedere: è divino il comando di dominare la terra e Dio premia con molti beni
i Patriarchi e Giobbe. Ma il sabato, l’anno sabbatico ed il giubileo proclamano
la liberazione da una conseguenza del lavoro e dei beni, cioè dalla dipendenza
di un uomo da un altro uomo. La libertà ebraica vede nella dipendenza da Dio la
totale indipendenza da idoli, re, signori. L’anno giubilare probabilmente non
fu mai attuato, a differenza dell’anno sabbatico che veniva celebrato anche ai
tempi di Erode. Il messaggio del giubileo non risiede nella sua precisa e storica
esecuzione quanto nella tensione che esprime: la tensione ad allargare, da un
tempo ad un tempo più grande, la sovranità di Dio, la fraternità tra gli
uomini, la giustizia e la libertà da tutto ciò che asservisce noi ed il mondo. In
tal senso, il giubileo è una mappa messianica e, proprio come il tempo
messianico, può essere vissuto attendendolo e raccontandolo. Oggi lo si
definirebbe un ideale: ma è proprio dell’ideale rimanere “utopico”, di nessun
luogo. L’uomo biblico crede, non spera, che ciò che tarda avverrà. Di questa
fede il giubileo è un segno, anzi una parabola.
L’augurio per questo Natale 2013 è che questo
tempo di Avvento segni per noi un giubileo dai nostri tanti affanni.
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