mercoledì 18 dicembre 2013

Legittimità dello Stato

Socrate muore per obbedire alle leggi. A Critone che gli ricorda la sentenza ingiusta e la corruzione della città e la facilità con cui corrompere i carcerieri, Socrate risponde immaginando di veder apparire la personificazione delle Leggi e dello Stato. “Che cosa hai intenzione di fare Socrate”, chiedono le Leggi, “(…) se non distruggere noi che siamo le Leggi… O ti pare che possa ancora sussistere e che non venga sovvertita quella città in cui le sentenze emesse non hanno vigore, ma ad opera di privati cittadini vengono destituite del loro potere e distrutte?”. Platone anticipa, per bocca di Socrate, le potenzialità dello stato di diritto. Secoli dopo Norberto Bobbio riflette: “La mia preferenza va al governo delle leggi, non a quello degli uomini. Il governo delle leggi celebra oggi il proprio trionfo nella democrazia. Che cos’è la democrazia se non un insieme di regole per la soluzione dei conflitti senza spargimento di sangue?”.  Da queste parole sembra di capire che lo stato di diritto, con il  rispetto delle leggi, garantisca il raggiungimento del bene comune. In realtà lo stato di diritto è sicuramente necessario per la realizzazione del bene comune, ma esso non è sufficiente. Il governo delle leggi deve mantenere un rapporto dialettico con il governo degli uomini. Lo stato di diritto offre delle preziose garanzie e tra queste il principio di subordinazione di ogni potere al diritto. Un governo legittimo è appunto un governo che è creato nei limiti e con le caratteristiche volute dallo spirito costituente e che, proprio per questo, impedisce qualsiasi deviazione quando viene tentata dagli individui che di volta in volta lo compongono. È garanzia di uguaglianza perché la costituzione, come ogni legge, è generale ed astratta. Generale perché si riferisce sempre a fattispecie funzionali e mai a singoli individui. Astratta perché non dà un comando che si esaurisce qui ed ora, ma stabilisce un modello, una regola che dura nel tempo. Ma il governo delle leggi deve essere collocato in una prospettiva più ampia; solo così perde la tipica rigidità di ogni strumento e la miopia del formalismo. È proprio il tema della libertà che denuncia l’aspetto necessario ma non sufficiente dello stato di diritto. Cosa dovrebbe essere in fondo una legge se non il programma di una realizzazione? Una comunità sovranamente si impone uno scopo ed indica gli strumenti per raggiungerlo. Lo spirito costituente deve essere riscoperto in ogni stagione. L’esercizio critico deve continuamente combattere le astuzie della retorica e le prevaricazioni degli interessi. Le leggi si cambiano o si mantengono, ma quel “si” o indica tutti gli uomini e allora la dignità è garantita, o indica una classe, i suoi interessi e i suoi fiancheggiatori, e allora lo stato di diritto diviene un astuto espediente per istituzionalizzare la prepotenza. 

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