venerdì 24 febbraio 2012

Noi speravamo: una rilettura dei discepoli di Emmaus

Noi speravamo: la via per Emmaus (Lc 24,13-35).


Come prima cosa occorre considerare quello che succedeva all’interno degli eventi descritti da Luca. È il pomeriggio del primo giorno di Pasqua. La mattina è accaduto ogni genere di strane cose e i discepoli non hanno ancora la più vaga idea di quello che è successo. Due di loro si mettono in cammino per tornare ad Emmaus. Vengono raggiunti da un misterioso forestiero che li coinvolge in una conversazione sugli ultimi avvenimenti. Per comprendere storicamente questa sezione è importante cogliere il punto centrale, presentato dal v. 21: “Noi speravamo che fosse lui che avrebbe liberato Israele” dicono i due.
Da dove venivano i due discepoli? E qual’era il loro problema? La loro comprensione degli avvenimenti era condizionata dalla loro conoscenza della storia di Israele. Questa storia si costruiva attorno a precedenti storici, promesse profetiche, cantici dei salmi. L’Esodo ne era lo scenario. Le ulteriori liberazioni del popolo  ebraico da varie potenze straniere compiute da Dio costituivano successivi strati narrativi che mostravano tutti la stessa cosa: quando l’oppressione pagana giungeva al culmine, Dio interveniva per liberare Israele. “Perché ti abbatti, anima mia? Perché ti agiti in me? Spera in Dio, perché lo celebrerò ancora; egli è il mio salvatore e il mio Dio”.
La maggior parte degli ebrei del primo secolo credeva che l’esilio non fosse realmente finito. Le grandi promesse profetiche non erano state adempiute. Israele aveva ancora bisogno di redenzione; la storia dell’Esodo si stava ripetendo. L’Esodo era il grande momento del patto; ciò di cui avevano bisogno in quel momento era il rinnovamento del patto. “Fammi giustizia, o Dio, difendi la mia causa contro gente malvagia; liberami dall’uomo falso e malvagio… Manda la tua luce e la tua verità, perché mi guidino…”.
Le   Scritture ebraiche offrivano a Gesù ed ai suoi contemporanei un racconto in cerca di finale. I seguaci di Gesù avevano pensato che il finale stesse per accadere con lui. Chiaramente non era stato così. Come pensavano che sarebbe accaduto? Il modello dei movimenti  messianici e profetici nei secoli precedenti e successivi a Gesù narra un racconto alquanto chiaro. Il metodo era semplicissimo: santità, zelo verso Dio e la Legge, rivolta militare. il resto dei santi, con Dio al loro fianco, avrebbe sconfitto le orde pagane. Così era sempre stato nelle Scritture; così, essi credevano, sarebbe stato quando fosse giunto il momento culminante dell’oppressione di Israele. Facevano quello che il Salmo diceva loro: “Spera in Dio, perché lo celebrerò ancora; egli è il mio salvatore e il mio Dio”.
La crocifissione di Gesù era, pertanto, la rovina completa delle loro speranze. La crocifissione era ciò che accadeva a chi pensava di liberare Israele e scopriva, troppo tardi, di sbagliarsi. Agli ebrei del primo secolo la crocifissione di un messia non diceva che questi era il vero messia e che il regno era giunto; diceva esattamente l’opposto: che non era il messia e che il regno non era giunto. Significava che Dio non aveva ancora perdonato il suo popolo e che i pagani continuavano a governare il mondo. Per comprendere Lc 24 bisogna tenere tutto ciò a mente.
Ciò spiega perché i due discepoli discutessero con tanta foga. Avevano intrapresi un cammino che pensavano conducesse alla libertà, e si era rivelato una delusione. Come spiegavano al misterioso forestiero, tutti i segni erano corretti: Gesù era realmente stato un profeta potente in opere e parole; Dio era stato con lui e il popolo gli aveva dato la sua approvazione. Senza dubbio sembrava la persona attraverso la quale Dio avrebbe operato la sua liberazione. Come avevano potuto ingannarsi, come dimostrava la sua esecuzione? A gettare ancora più confusione vi erano strani racconti di tombe vuote e visioni di angeli. Ciò non aveva niente a che fare con quanto sperato. Questo enigma si aggiungeva alla loro profonda delusione. I due discepoli si sentivano tristi, abbandonati, forse persino arrabbiati “Dirò a Dio , mio difensore: Perché mi hai abbandonato? Perché devo andare vestito a lutto per l’oppressione del nemico?”.
La risposta del forestiero è quella di narrare in modo diverso il racconto e mostrare che al’interno dei precedenti storici vi è un modello costante rispetto a quello che loro avevano creduto. In Egitto le sofferenze di Israele erano aumentate fino al punto estremo, dopodiché vi era stata la redenzione. Gli Assiri avevano invaso il paese e accerchiato Gerusalemme; quando furono sul punto di conquistare la città, si ritirarono sconfitti. Quando Israele è abbattuta e si aggira vestita a lutto, Dio agisce e la libera. E anche se Babilonia era riuscita laddove l’Assiria aveva fallito per poi essere seguita da altre nazioni pagane, i profeti indicavano le tenebre dichiarando che sarebbe stato attraverso di esse che sarebbe giunta la redenzione. In qualche modo i disegni salvifici di Dio per Israele, e tramite esso per tutta l’umanità, sarebbero stati compiuti attraverso la più intensa sofferenza; in tal modo l’esilio si sarebbe concluso, i peccati sarebbero stati perdonati, il regno di Dio istituito.
Era questa la narrazione elaborata dai profeti. Essi non avevano predetto un Israele che trionfava sui nemici in una guerra totale ma avevano profetizzato una salvezza attraverso le sofferenze e il riscatto di Israele: “E cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture le cose che lo riguardavano”. Gesù assume su di sé questa narrazione; egli fece per Israele e per il mondo quello che Israele e il mondo non potevano fare per se stessi.
La delusione dei due discepoli non era dovuta, dunque, a cecità spirituale ma al credere ad un diverso racconto. Ma ora, grazie al misterioso forestiero, avevano il racconto giusto ed ora una nuova speranza si riaccendeva in loro. E se l’esecuzione di Gesù non fosse la smentita  della sua messianicità ma la conferma? E se fosse questo il modo con cui Dio realizzava la redenzione di Israele? Mentre questa intuizione si faceva strada in loro giunsero a casa e invitarono il forestiero. Questi assunse il suo ruolo di ospite prendendo, benedicendo e spezzando il pane. Lo riconobbero, ed egli scomparve. Ora quello che il forestiero aveva detto acquistava senso: “Non sentivamo forse ardere il cuore dentro di noi mentre egli ci parlava per la via e ci spiegava le Scritture?” (v. 32). La loro reciproca testimonianza si trasforma in un’entusiastica testimonianza agli altri quando tornano a Gerusalemme: il Signore è veramente risorto, è apparso a Simone! Quindi raccontarono quanto era accaduto lungo la via e come lo avessero riconosciuto dallo spezzare il pane. La loro preghiera ha avuto risposta. Sono tornati al santo monte di Dio e alla sua dimora. La luce e la verità di Dio li hanno ricondotti indietro, la loro pena si è trasformata in lode.

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