sabato 12 settembre 2015

Sola Scriptura?

Dire sola Scriptura significa escludere la possibilità che nella conoscenza e nel rapporto con Dio abbiano una validità orientatrice al di sopra di ogni critica l’esperienza e la tradizione della chiesa. I fedeli non sono immuni dall’errore. Fedeltà a Dio non significa che i credenti in Cristo non possano errare nei loro orientamenti, nelle loro scelte, nella loro teologia che resta legata a condizionamenti culturali, epocali, psicologici. Affermare il contrario significa non tener conto della storicità della propria professione di fede, come se alla possibilità del peccato morale e del dissenso non potesse corrispondere l’infedeltà sul piano dottrinale. Tutto questo storicamente è già accaduto: basti ricordare le invettive dei profeti a Israele, il popolo eletto, che invocano l’ira di Dio contro un popolo ostinato e ribelle (Is 5,24; Ger 4,22), il cui culto è divenuto un peso (Is 1,14-15; Am 5,21-23); perfino il Tempio non costituisce più garanzia di approvazione (Ger 7,14), i pastori sono guide incapaci (Ger 2,8). La predicazione di Gesù si inserisce nella linea profetica accusa i giudei di non conoscere Dio (Gv 8,55) di essere chiusi all’Evangelo (Gv 8,37.43.47), di non credere alla verità (Gv 844-45). Di fronte a tutta la tradizione religiosa ed etica giudaica Gesù contrappone il suo “Ma io vi dico” (Mt 5,22.28.32.34.39.44), accusa i giudei di trasgredire e annullare la Parola di Dio per la loro tradizione (Mt 15,3.6; Mc 7,8.9.13). Anche le prime comunità di seguaci di Cristo non sono immuni da queste infedeltà. Paolo reagisce con estrema energia contro i credenti di Galazia, di Corinto, di Filippi, che sono stati ammaliati da falsi fratelli, da falsi apostoli, così da passare dall’evangelo di Cristo ad un altro evangelo predicato da sovvertitori.  Giacomo polemizza con Paolo sulla questione delle opere necessarie alla giustificazione mentre per Paolo solo la fede giustifica. L’autore degli Atti presenta un Paolo docile alla tradizione giudaica mentre nelle sue lettere l’apostolo considera spazzatura tale tradizione. L’Apocalisse denuncia quelli che si fanno chiamare apostoli e non lo sono (Ap 2,2; 3,1). Possono bastare questi cenni per dimostrare che è illusorio supporre, anche alle origini, l’esistenza di una chiesa unita, pura e fedele, capace di adeguarsi alla norma evangelica e di essere lei stessa norma per i credenti. Già nel NT si registra la presenza di tendenze contrastanti e inconciliabili, ciascuna delle quali rivendica per sé l’autentica interpretazione dell’Evangelo. Nei secoli successivi tale fenomeno si accentuerà in proporzioni massicce. Se dunque neppure la chiesa è la norma capace di rappresentare con autorità l’Evangelo, dove si deve ricercare tale norma? La tradizione protestante risponde “sola Scriptura”.

1 commento:

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